L'Italia e le leggi razziali
Un paese sotto accusa

Gli italiani appresero tutto sommato con indifferenza i provvedimenti contro gli ebrei, promulgati nel 1938 da Mussolini. In un libro ("Diritti negati. Le leggi razziali dell'Italia fascista" F. Agostini - L. Vandone, Modern pubblishing house, 158 pp., 6 euro) un'analisi completa della "vergogna" che provocò 7 mila deportazioni e quasi 6 mila morti.

di Davide G. Bianchi

Come è noto, il Fascismo non ha mai avuto i tratti antisemiti tipici del nazismo hitleriano. Certo, vi erano forti tracce del razzismo ereditato dalla cultura Ottocentesca che, per giustificare le imprese coloniali, aveva rivendicato la "superiorità dell'uomo bianco". Comunque, in perfetto stile mussoliniano, molta retorica, ottime "scenografie", pochi risultati concreti: in vent'anni il regime fece solo la spedizione d'Etiopia del 1935, che le valse, in compenso, il biasimo internazionale e le sanzioni della Società della nazioni.
Con l'approssimarsi della Seconda guerra mondiale, e il crescente avvicinamento di Mussolini a Hitler, le cose però cambiarono, e nel 1938 fecero capolino le "leggi razziali". Si trattava chiaramente di un tributo che il fascismo pagava all'alleato tedesco: nel settembre vennero approvati tre leggi di stampo discriminatorio, che riguardavano «Provvedimenti per la difesa delle razza nella scuola fascista», «Provvedimenti nei confronti degli Ebrei stranieri» e l'«Istituzione di scuole elementari per i fanciulli di razza ebraica». Seguirono poi altri provvedimenti nei mesi successivi, fra cui una «Dichiarazione sulla razza». Cosa comportavano queste misure? Di fatto la rimozione dei docenti ebrei in tutte le scuole, università comprese, e dei dipendenti pubblici dai loro incarichi. In merito a questi aspetti il regime fu molto rigoroso; fortunatamente lo fu molto meno nell'espulsione e nell'internamento nei campi di sterminio.
Il libretto ha il merito di antologizzare le leggi razziali e di commentarle con accuratezza. Oltre ad alcune pagine di rapida contestualizzazione storica (che non sono il meglio della pubblicazione), vi è poi una sezione molto utile che fa il bilancio degli effetti delle leggi razziali, che andarono colpire oltre 50mila persone (l'1‰ della popolazione di allora). Coloro che furono arrestati e poi deportati furono circa 7mila, di cui quasi 6mila ad Auschwitz. Del totale dei deportati i deceduti furono 5.916.
Pochi rispetto alla cifre di altri paesi, ma pur sempre troppi. Gli autori, volendo sottolineare l'estraneità culturale degli italiani ai sentimenti antisemiti, osservano che i nostri connazionali «accolsero la promulgazione e l'applicazione delle leggi razziali con silenziosa indifferenza o acquiescenza». Magra consolazione. Ma lo è poi veramente?   

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