Archivio Lucini "in ordine"
dopo 30 anni di ricerche

Importante evento culturale curato dalla Biblioteca e dall'Archivio di Stato: è stata conclusa la catalogazione e la ricognizione di uno dei Fondi archivistici di maggiore importanza per la storia letteraria del Novecento, della Scapigliatura e delle Avanguardie.

di Franco Minonzio

É giunto felicemente a conclusione il riordino del Fondo Gian Pietro Lucini (Milano 1867-Breglia 1914) conservato presso la Biblioteca Civica di Como, consistente, come è noto, nell'archivio personale del letterato comasco d'adozione. Ad esso, a partire dagli anni '80, su incarico dell'allora direttore, Riccardo Terzoli, ha lavorato con eccezionale dedizione e competenza Magda Noseda dell'Archivio di Stato di Como, cui si deve ora l'approntamento di un inventario prezioso e corposissimo (consta di 1454 pagine).
L'archivio è costituito da materiali eterogenei: manoscritti, opuscoli a stampa, disegni, fotografie, ritagli di giornale, un ricco carteggio, e fu parzialmente organizzato dallo stesso Lucini. Dopo la morte dello scrittore, esso fu ceduto, dalla vedova Giuditta Cattaneo, al bibliofilo ed editore torinese Terenzio Grandi (1884-1981), il quale dal canto suo mise mano a tentativi, per lo più non ben fatati, di ordinamento, finché il fondo fu da questi venduto nel 1972 alla Biblioteca Comunale di Como. Già da queste scarne informazioni si può intuire quanto complesso debba essere stato il lavoro di riordino di un archivio che assomma a circa novanta cartelle, distribuite provvisoriamente - e a lungo esiliate - in undici scatoloni: materiali, come s'è detto, eterogenei erano presenti entro un medesimo fascicolo, spesso senza una <+G_CORSIVO>ratio<+G_TONDO> apparente. Opportunamente, dunque, Noseda ha  operato una descrizione analitica che fotografasse lo stato nel quale il fondo è pervenuto: procedere diversamente, secondo una strategia di riaggregazione per omogeneità, avrebbe forse accorciato i tempi del lavoro di descrizione, ma al prezzo di distruggere per sempre la leggibilità di quei nessi documentari che, non in tutti i casi, ma sicuramente in un discreto numero di essi, erano riconducibili alla mano stessa di Lucini, figura intellettuale complessa e attratta dalla stratificata densità di parole e di cose. A Lucini, non meno che a Carlo Dossi, dal quale  Lucini per più versi dipende, può attagliarsi la formula applicata da Gianfranco Contini all'allargamento della categoria di Scapigliatura milanese: «ricerca della verità attraverso la rottura dell'ordine». Del resto dal clima intellettuale della sua famiglia, e soprattutto dal padre, repubblicano e garibaldino, gli discese un'impaziente intransigenza, nutrita di letture furiose e precoci e guidata dalla coscienza di sé che la malattia, con la percezione della propria inconciliabile diversità,  sempre produce. Rottura dell'ordine, passato o incipiente, furono anche le battaglie politiche da lui sostenute, con sprezzo di rischi giudiziari e patrimoniali, come quella antimilitarista e repubblicana, ma non meno le feroci polemiche critiche: antifuturista (con palinodia dell'iniziale Futurismo), antidannunziano,  in una parola antidecadente. Quel rapporto Dossi-Lucini (amici, conterranei, legati da stima reciproca), oggi così evidente alla critica, è stato per primo Lucini a stabilirlo, con quel saggio "L'ora topica" di Carlo Dossi (Varese, Nicola, 1911), che peraltro offre alcune chiavi per identificare il rapporto di Lucini con la scapigliatura, in opposizione al conformismo borghese dell'epoca: non senza continuatori, se è vero che è ancora Contini a parlare di una linea  Dossi-Lucini determinante per gli orientamenti espressivi di Carlo Emilio Gadda. E tuttavia nella "partita doppia"' dei loro rapporti, è interessante osservare che le "Note azzurre" di Dossi, contengono solo due passi dedicati a Lucini, il primo, e il più importante dei quali, è quel non poco perfido ritratto che ci consegna l'irosità di Lucini come il motivo dominante della sua immagine pubblica: «Gian Pietro Lucini, letterato milanese di molto ingegno e di molta dottrina, d'idee più che avanzate e onestamente anarchiche, dalla Natura condannato al gobbo e alla rachitide, come dal Genio alla fama, aveva carattere subitaneo, iroso, e, benché giusto, violento», cui segue la citazione di due episodi a comprovare la proclività all'ira (Carlo Dossi, "Note azzurre", a cura di Dante Isella, Milano, Adelphi, 1964, pp. 892-3, nota 5732: opera della quale è recentissima, sempre per la cura di Isella, l'edizione integrale, in libreria per Adelphi). Allettante si prospetta dunque la verifica di questo rapporto in un fondo, quello Lucini, che viceversa contiene documenti di una sodalità a più dimensioni: lo provano, ad esempio, i fascicoli a 42-3 del fondo ("Inventario", pp. 135-6), che contengono quello che rimane, e materiali preparatori, della prima stesura de "L'ora topica"; il fascicolo 53, sulle ottocentesche vicende patriottiche della famiglia di Dossi (pp. 178-187), le cui carte sono in buona parte provenienti da Casa Pisani Dossi, ed analoga fu la provenienza dei materiali, di cui resta traccia nei fascicoli 32-41, per un progetto letterario impegnativo quale la monografia sul pittore neoclassico Giuseppe Bossi (pp. 110-134).
E una chiave per intendere il valore di queste carte la formulò lo stesso Lucini prefando la sua biografia di Dossi, con parole dello stesso Dossi che ora si applicherebbero al meglio al corpus di documenti di Lucini reso accessibile dal lavoro di Magda Noseda: «A scoprire, a rifare il processo su cui una mente, specie di scrittore, ha voluto produrrre date opere; a rintracciare l'origine del materiale da esso impiegato e trasformato, a conoscere lo stato d'animo di chi pensava o eseguiva, giova più che tutto l'esame di quelle intime carte, qualunque sia la sua forma, nelle quali l'artista ha segnato il suo primo pensiero e consegnò la memoria dei pensieri ultimi. Simili documenti, i quali vanno dal più laconico aforisma   all'epistolario più diffuso, e possono anche comprendere i conti di cassa e di cucina, sono tan to più preziosi, inquantoché un artista, come ha raggiunto la designata altezza, si affretta solitamente a cancellare le tracce della sua via, quasi a dare ad intendere ch'ei vi volò, non vi si arrampicò». 

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