Cultura e Spettacoli
Lunedì 17 Gennaio 2011
Vernici, tema e variazioni
Quanta arte nei manifesti
Tanto liberty e futurismo nelle immagini per la Lechler di Como - In cent'anni di storia un patrimonio culturale tutto da scoprire
I manifesti, riprodotti in formato medio da stampa per collezione e raccolti in una apposita cartella, sono dodici. Quello di più lontana datazione risale ai primi anni del Novecento, quando l'azienda tedesca Chr. Lechler e Sohn (figlio), fondata a Stoccarda nel 1858, amplia la proprietà nel febbraio 1910, diventa una «fabbrica italiana di vernici e smalti» e acquisisce il marchio Ch. Lechler e Figlio Successori. L'origine tedesca è citata, nel bozzetto dipinto con colori a tempera, soltanto nel simulacro di alcune monete d'epoca, mentre spicca sotto il marchio la dicitura in italiano «premiata fabbrica di vernici d'ogni genere». L'immagine, piuttosto ingenua nell'elaborazione grafica, mostra un Mercurio trionfante che regge in una mano il caduceo e nell'altra una latta di vernice: altre latte, ai suoi piedi, vengono allegramente rovesciate da bambini che si divertono a mescolare i liquidi colorati.
Fra gli altri manifesti, quattro sono eseguiti dalla stessa mano con una certa approssimazione artigianale per conto della filiale di Ponte Chiasso della fabbrica (aperta nel 1889) e illustrano, con una sfilata di modelli, l'evoluzione dei mezzi di trasporto dai veicoli ippotrainati a quelli motorizzati. Di più sicura impronta professionale appaiono tre esemplari, più recenti, che esaltano le qualità di una nuova vernice alla nitrocellulosa. Ma i più interessanti, per efficacia rappresentativa, sono i tre disegnati e stampati nel periodo fra le due guerre, quando la cartellonistica rifletteva le tendenze più avanzate dell'arte pittorica, dal liberty al futurismo fino al déco, firmata da valenti autori quali i vari Dudovich, Cappiello, Seneca, Depero e altri. Uno, datato 1934, pubblicizza la Lechleroid polish che ravviva e conserva vernici, inquadrando come in una vetrina il familiare "muso" dell'auto media più amata dagli italiani in quel periodo, lanciata nel 1932: la Fiat Balilla. Un altro, del 1935, stampato dalla Grafica Casartelli di Como (è l'unico che reca la didascalia del laboratorio tipografico), spinge verso chi guarda la sagoma slanciata di un'auto di gusto vagamente americano, aggressivamente tinta in rosso fiamma: la firma un G.Borghi che potrebbe essere un noto esponente del futurismo torinese, come lascia intendere la sottesa esaltazione della velocità. Ma il più accattivante dei manifesti l'abbiamo lasciato per ultimo. È opera nel 1938 di Umberto Calamida (Genova 1864-1964), cartellonista fantasioso, caricaturista arguto e pittore tecnicamente preparato. Calamida ha animato graficamente un flusso di vernice scaturita da alcuni barattoli, dandole una forma umanoide, dotata di gambe e braccia che muovono un lungo pennello sull'immaginario telone di un cielo notturno per comporre, gocciolando, le lettere del marchio Lechler.
Sullo sfondo, si staglia il profilo essenziale di case e opifici. Sono tutti elementi di uno stile che si è liberato dagli orpelli decorativi ottocenteschi e da ogni impegno di realismo descrittivo per assurgere ad un'asciutta, originale visione moderna dell'idea da diffondere.
Alberto Longatti
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