Cultura e Spettacoli
Sabato 05 Febbraio 2011
Guareschi faceva la morale
ma con un intento "Candido"
Con le storie di Don Camillo e Peppone si sforzò di elevare la coscienza del Paese: è l'interpretazione del saggista Gulisano, a 50 anni dalla chiusura del giornale
Mentre ferveva la ricostruzione materiale, Guareschi mise mano con lena a quella morale: occorreva somministrare agli italiani gli antidoti adeguati contro i veleni che li intossicavano, dall'odio ideologico alla brama di guadagno ad ogni costo e con ogni mezzo; dall'abbandono dei punti di riferimento morali di sempre al riversamento del cervello all'ammasso, che fu un concetto che non smise mai di sottolineare, profeta inascoltato, visto che gli italiani hanno continuato a farlo, prima seguendo la parola d'ordine della politica, più tardi quella della pubblicità e delle sirene del consumismo.
"Candido", che fu anche palestra di artisti, di talenti della penna, e che vide nascere sulle sue colonne l'epopea di "Mondo Piccolo", di don Camillo e Peppone, fu sempre una pubblicazione assolutamente libera e indipendente, fatta a immagine e somiglianza di chi la realizzava, sempre in prima linea nella tempestiva segnalazione e denuncia di ogni soperchieria che inquinasse la vita civile, sociale, economica e politica italiana.
"Candido" era un foglio donchisciottesco, ma per altri versi era capace di guardare in profondità e con attenzione nella realtà. Guareschi conosceva molto bene l'Italia e gli italiani: amava questo Paese di un amore mai pienamente corrisposto.
Guareschi conosceva bene miseria e nobiltà di questa terra, e la descrisse come pochi altri sono riusciti, visto che il compito non è certo facile. Strana terra l'Italia. Persino dal punto di vista geografico, questa penisola è decisamente originale, con la sua strana forma. A ciò si aggiunge una strana storia, dove si mescolano a forti dosi grandezza e splendori, meschinità e bassezze. Vivace al limite della turbolenza, sembra avere nelle sue corde più profonde le caratteristiche del genio e della sregolatezza. Ciò che è peggio, tuttavia, è che sembra possedere nel proprio Dna anche un'innata predisposizione al conflitto, e in particolare alla guerra civile. Dagli Orazi e Curiazi ai Guelfi e Ghibellini fino ai garibaldini e ancora più di recente alle varie partigianerie e ai diversi particolarismi, questo non è un paese tranquillo è viverci non è consigliabile a chi non ha coronarie forti. Un Paese così non è facile da raccontare, anche se proprio a motivo della sua drammaticità può fornire ispirazione per fare della narrativa molto interessante. Questo strano paese è stato raccontato certamente, oltre che analizzato, nei suoi fatti, nei suoi personaggi. Ma chi ne ha colto l'anima, chi ha fatto in modo di trasformare uomini comuni in figure paradigmatiche, chi ha coniugato epica e fiaba, fu proprio Giovannino Guareschi.
«La storia - scrisse - non la fanno gli uomini: gli uomini subiscono la storia come subiscono la geografia. E la storia, del resto, è in funzione della geografia. Gli uomini cercano di correggere la geografia bucando le montagne e deviando i fiumi e, così facendo, si illudono di dare un corso diverso alla storia, ma non modificano un bel niente, perché un giorno, tutto andrà a catafascio. E le acque ingoieranno i ponti, e romperanno le dighe, e riempiranno le miniere; crolleranno le case e i palazzi e le catapecchie, e l'erba crescerà sulle macerie e tutto ritornerà terra. E i superstiti dovranno lottare a colpi di sasso con le bestie, e ricomincerà la storia. La solita storia».
Guareschi impegnò tutto il suo talento e la sua vita al servizio delle coscienze, e del vero bene comune, con un realismo appassionato, consapevole di tutte le imperfezioni umane, senza moralismi né utopismi pericolosi. Il "Mondo Piccolo" di Guareschi non è un universo perfetto: anche lì vi sono il male, la cattiveria, il dolore. Eppure è un mondo nel quale tutti vorremmo vivere. Tutti ci siamo detti almeno una volta: «Come sarebbe bello il mondo, se fosse così». Ma "Mondo Piccolo" non è così per un artificio letterario. È così, perché i suoi abitanti compiono ogni giorno ciò che possiamo fare anche noi abitanti del Mondo grande, se solo avessimo fede: accolgono la Grazia, e la loro vita si trasfigura. L'uomo d'oggi, dice Guareschi, è infelice, perché ha espulso Cristo dalla sua vita. E non v'è altra medicina che la fede. Bisogna salvare la fede, come il contadino salva il seme durante l'alluvione.
Guareschi era un uomo libero, un uomo vivo, forse troppo per i gusti del potere. Così nel 1961 i potentati Dc esercitarono una pressione decisa sull'Editore di "Candido" perché quella voce scomoda venisse messa a tacere. Guareschi si congedò dai lettori con parole tristi e ironiche, con un'editoriale intitolato «Il congedo dell'ometto», dove scriveva: «Dice Giovannino che vi lascia un'eccellente situazione: miracolo economico, miracolo governativo e via discorrendo. Se ne va, quindi, tranquillo perché meglio di così non potrebbe andare. E anche peggio di così non potrebbe andare. La democrazia ha raggiunto l'"optimum" nei due sensi opposti (positivo e negativo) e, non potendo andare né più in alto né più in basso, le conviene fermarsi. Quindi, dice sempre il Giovannino, statevene tranquilli: se la sua presenza non poteva migliorare di un milionesimo di millimetro le cose, la sua assenza non potrà peggiorarle di un miliardesimo di milionesimo di millimetro, Vi saluto anche io e, se non potremo più tenerci visti, cerchiamo di tenerci pensati». Era il congedo di uno che passava per umorista, e che paradossalmente era in realtà uno degli italiani più seri e veri mai esistiti.
Paolo Gulisano
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