Cultura e Spettacoli
Venerdì 04 Marzo 2011
Emma Dante, vita e teatro
"L'Italia di oggi mi indigna"
La drammaturga, regista e attrice, diventata popolare nel 2009, per una versione "choc" della "Carmen" di Bizet alla Scala di Milano, è tornata nel capoluogo lombardo con "Trilogia degli occhiali". Ai lettori confida il più grande dolore della sua vita e rivendica l'impegno civile a 360°. Per saperne di più, ecco un'intervista alla regista.
Emma Dante ha saputo raccontare storie di marginalità e di abbandono: un'umanità derelitta che non volevamo vedere. E ci ha regalato la forza e la poesia del suo teatro. L'incontriamo al Crt Teatro dell'Arte di Milano dove è in scena fino a domani con "Trilogia degli occhiali", un testo profondo ed emozionante. Consacrata dalla critica europea, acclamata dal pubblico che la segue di spettacolo in spettacolo, la regista non sembra essere condizionata dal successo degli ultimi anni e confessa: «Faccio il mio lavoro con lo stesso entusiasmo di prima e so che è anche possibile fallire».
Bambina come si immaginava da grande?
Ero silenziosa e poco creativa. Sognavo ad occhi aperti ma in realtà non sognavo nulla. Non c'è mai stata in una me una destinazione per il futuro.
Ricorda un gioco che faceva con i suoi fratelli?
Imitavamo i grandi, mi piaceva organizzare recite. Sono la maggiore, unica femmina, i mie fratelli mi seguivano.
E pensava mai, da piccola, di lasciare la Sicilia?
No, non pensavo esistesse un altro mondo. I miei non viaggiavano molto, come tutti gli isolani, non ero abituata a confronti con altri luoghi.
Come mai se n'è andata?
Mia mamma mi ha incoraggiato. Le dissi che volevo fare teatro e lei mi propose di andare a Roma, per fare l'Accademia Silvio D'Amico. Ricordo che mi disse: «Ti aiuto io» e mi mise su un treno. Avevo 19 anni, a Roma ho imparato a stare da sola e a frequentare persone diverse da me.
Perché è tornata a Palermo?
Quando mia madre si è ammalata ho deciso di accompagnarla nella sua malattia. Qui l'ho vista morire, qui la sua presenza è ancora forte, come l'immagine di lei che mi saluta mentre il treno parte.
Cosa le ha insegnato sua madre?
Il coraggio, la determinazione, l'amor proprio, la costruzione della mia identità. Mi diceva: "Non fare gli errori che ho fatto io, non ti uccidere in una famiglia. Fai delle cose importanti, per te". Io sono come lei.
A Palermo ha fondato la compagnia Sud Costa Occidentale. Perché una nuova compagnia, non le bastava recitare?
Non volevo fare teatro da sola, nemmeno essere quella che dà idee e gli altri devono assecondarle. La compagnia è un modo di essere e un progetto.
Che rapporto c'è fra di voi?
Ci incontriamo per lavorare allo spettacolo, fuori del progetto ognuno ha la sua vita.
I personaggi dei suoi spettacoli ricordano miti e leggende. Ma esistono nella vita reale?
Sì, li incontro per strada: facce grottesche, gente disperatamente felice. Dopo averli inventati e messi in scena li ho ritrovati fra la gente.
Ha dedicato lo spettacolo «Vita mia» a suo fratello Dario, scomparso a 24 anni. Si può mettere in scena il proprio dolore?
È stato un grande lutto, a cui è seguita la morte di mia madre: non è riuscita a sopravvivere alla morte del figlio. Raccontarlo mi è servito per elaborare il mio lutto. È stato lo spettacolo più bello che ho fatto e che farò. È nato da una necessità, non era teatro ma accanimento. Sono riuscita ad accettare quelle morti solo andando a quella veglia funebre che ho messo in scena.
È al Crt di Milano con «Trilogia degli occhiali» (Rizzoli). Tre episodi in cui ogni personaggio inforcando un paio di occhiali vede il mondo in modo diverso. E lei come riesce?
Sognando, ho messo ad ognuno di loro gli occhiali perché potessero sognare. Il marinaio sogna il mare che non ha più, il malato catatonico sogna il movimento, la vecchina sogna la storia d'amore che ha vissuto. Io sogno il mio teatro.
Le sue storie sono ambientate al Sud. Riuscirà mai a raccontare il Nord?
Quando parlo del Sud parlo anche del Nord. La differenza sta nelle persone, in quello che pensano, nella loro forza e nella loro vita. Non credo tanto alla differenza fra Nord e Sud.
Ha messo in scena «Le pulle», uno spettacolo musicale. Quanto è importante per lei la musica?
I miei spettacoli sono degli spartiti che gli attori interpretano a modo loro. La musica diventa un luogo e serve per raccontare la loro atmosfera. Non è una colonna sonora ma è parte integrante di quel sentimento che l'attore sta provando: è la sua aria sonora e la respira.
Si indigna ogni volta…
Vedo il più forte prevaricare sul più debole, la mancanza di rispetto, l'assurdità della gente, l'abbruttimento del pensiero civile. Questi sono i motivi per cui questo paese va allo sfascio. Chi ha il potere ha preso in ostaggio l'Italia. Mi indigno spesso, per questo faccio teatro.
Se tornasse indietro cosa non rifarebbe…
Non aspetterei a fare un figlio. Ho rimandato, pensavo ci sarebbe stato un altro tempo, ma questo tempo non è arrivato.
Cos'è, per lei, oggi la bellezza?
Qualcosa che non ha a che fare con l'estetica. È la scoperta di un difetto in una persona che riesce a essere autoironica, uno sguardo, un bambino che cade, piange e dopo due minuti si rialza e ride. Per me la bellezza è legata all'umanità e spesso la trovo nei rifiuti.
Potrà mai lasciare la Sicilia?
Certo, posso lasciare la mia città, il teatro e so che un giorno lascerò me stessa perché dovrò morire. Dentro di me ho molto chiaro, da sempre, il senso della fine.
Non ha radici?
Non sono così determinanti. Posso essere estirpata da un momento all'altro, se lo sradicamento è necessario non mi tiro indietro. Un albero se viene estirpato bene può germogliare altrove.
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