Cultura e Spettacoli
Venerdì 25 Marzo 2011
L'assalto agli austriaci
a bordo di un battello
Il racconto di un combattente delle Cinque giornate di Como: "Montai sul piroscafo con il fucile da caccia e una sciarpa tricolore"
<+G_SQUARE><+G_TONDO>In quel periodo emblematico del Risorgimento nazionale, conosciuto come le Cinque Giornate di Milano (18-22 marzo 1848) tutte le città della Lombardia insorsero contro l'Austria. Anche Como non fu da meno. Al riguardo narrano le cronache dell'epoca che la cittadinanza di Como, insorta con le armi contro il reggimento Prohaska al comando del ten. col. Braumuller, ebbe subito spontaneo e largo aiuto dalle popolazioni del lago, i “Lariensi” come vennero chiamati. La Congregazione Municipale di Como, presieduta dal podestà notaio Tomaso Perti (1796 – 1873), pensò bene di mobilitare la gente del lago dopo essersi impadronita dei tre battelli Lariano, Veloce e Falco, ancorati alla punta di Geno, mandandoli il 19 marzo a percorrere le sponde del Lario per chiamare alle armi i terrazzani con il suono delle campanelle di bordo e sventolare al vento il Tricolore. Uno di quei battelli, il Veloce, al comando del capitano Domenico Primavesi (1810 – 1874) di Pognana Lario e con a bordo il marchese Pietro Rovelli, prima di tornare a Como carico di volontari, si spinse fino a Lecco, giungendovi in tempo per aiutare gli insorti che costrinsero alla resa un reparto del Reggimento Geppert. Di quelle epiche giornate, vi è la descrizione di un testimone oculare, l'ingegner Giovanmaria Cetti (1827 –1910) di Torriggia che prese parte all'insurrezione di Como, imbarcandosi proprio sul Veloce, comandato da Domenico Primavesi. Scrive il Cetti nelle sue Rimembranze: “La mattina del 20 marzo, mentre ero ancora a letto, un mio cugino venne ad annunciarmi che a Milano era scoppiata la rivoluzione e che anche Como si era sollevata. Balzai tosto dal letto: finalmente vedevo che si veniva ai fatti ed anelavo di prender parte anch'io alla lotta che s'incominciava per la libertà e indipendenza della patria. Dopo mezzodì, con un drappello di oltre 40 volontari di Nesso, Brienno e Laglio, capitanati dall'ing. Giudici e dal dott. Casella, montai sul piroscafo “Veloce”, che ci condusse a Como. Avevo meco il mio fucile da caccia, cingevo una sciarpa tricolore e portavo molte palle di piombo. Discesi sulla riva di Como, ci schierammo a due a due e ci avviammo al Municipio...Alcuni dei nostri vennero messi a custodia del campanile di San Fedele, pronti a suonare a stormo appena si prospettasse l'occasione ”. “La mattina seguente (21 marzo n.d.r.) – prosegue il Cetti – essendo incominciate le ostilità, io con altri commilitoni, mi recai sul bastione a levante di Porta Torre, dove sorge l'Istituto Castellini. Dal bastione facemmo le fuciliate contro la caserma di S.Francesco, ove stava rinchiuso il battaglione di croati, i quali avendo praticato dei vani a guida di feritoia tra le tegole del tetto, sparavano contro di noi. Poco lungi da me cadde un giovane, di cui non so il nome, colpito alla testa da una palla tedesca, mentre si era affacciato ad una feritoia per sparare. I nostri, allo scopo di snidare i tedeschi della caserma, diedero fuoco al fieno ed alla sterpaglia che trovavasi depositata, ma il fuoco divampò senza ottenere alcun risultato”. A quel punto, racconta sempre Cetti, visto che gli insorti non riescono a prendere gli austriaci asserragliati, da una villa circostante partono due cannonate che sfondano la porta della caserma. “Vidi un ardito popolano – prosegue il racconto – con un materasso sulle spalle , coperto da due lamiere di ferro, uscito da Porta Torre, viaggiando a ritroso, avvicinarsi ad una pianta dietro cui erasi rifugiato l'ing.Villa, che con altri animosi erasi slanciato per dar l'assalto alla caserma, ma dovette retrocedere perché i croati aprirono contro di loro un nutrito fuoco. Quel bravo popolano, facendo andare avanti lui l'ing. Villa, lo condusse passo passo contro la porta della caserma, tra le acclamazioni dei presenti. Dopo un lungo combattimento, nel quale molti dei nostri rimasero morti e feriti, finalmente i croati della Caserma di San Francesco, vedendosi circondati da ogni parte, si arresero”. “Presso l'angolo del Duomo verso la Quadra – così descrive la resa dell'esercito nemico – vidi il colonnello austriaco, che pallido e pauroso al braccio del podestà Perti, recavasi al Municipio per firmare la capitolazione. Assistetti all'uscita dei croati dalla caserma ed alla consegna delle armi”.
Gianfranco Casnati
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