Cultura e Spettacoli / Como città
Lunedì 04 Aprile 2011
Pascoli musicista
Inediti in biblioteca
Conservate a Como alcune lettere che il poeta scrisse al musicista comasco Renzo Bassi per progettare un'opera lirica che non andrò mai in scena
Un'emozione, questa, risorgimental-visionaria, che non poteva non contagiare ed essere condivisa da amici e seguaci. È improprio dunque che salgano alla memoria i versi con cui concluderà diversi anni più tardi un suo testo uno che proprio del Vate maremmano di Davanti San Guido e di Comune rustico (oltre che di Pianto antico), è stato prima allievo poi successore sulla cattedra bolognese di letteratura italiana, ossia Giovanni Pascoli, che eleggerà questa apocalittica "soglia" dell'Anno Mille quale esemplare scenario dei suoi temi esistenziali e fantastici?
Mi riferisco al dramma in versi Nell'Anno Mille di Giovanni Pascoli, che sembra ricalcare, trasferendola entro il suo consueto scenario poetico, l'emozione dell'attacco del testo del Maestro, contaminata e fusa con tutte le angosce che caratterizzano la sua stessa vita e la sua poesia. «L'allodoletta per la nebbia scialba / canta che ha visto il sole! il sole! è l'alba! / è l'alba! è l'alba! è l'alba!» dice infatti in un frammento della chiusa del poemetto cui Pascoli lavorò per diversi anni e nel quale non è chi non veda l'emergere prepotente del suo sistema simbolico con voci e presenze ben riconoscibili.
Ideato a partire dal '94 e completato tra pentimenti e rifacimenti solo più tardi, nel 1903, prima di poter vedere le stampe postumo, nel 1923, Nell'Anno Mille mette in scena una vicenda semplice e terribile, quella dell'ultima notte del Mille con l'attesa della profetizzata fine del mondo, vissuta con alterni sentimenti, ansia da parte della madre di poter finalmente riabbracciare il suo figlioletto morto e terrore della giovane innamorata di non poter rivedere il suo amato lontano: sentimenti che si sciolgono con l'apparir dell'alba del nuovo Millennio, tramutandosi in tripudio per i due amanti finalmente ricongiunti e in disperata disillusione della madre, nel mentre il popolo tutto si abbandona al piacere del ritorno alla vita.
Un dramma in versi, o più esattamente un "libretto per musica", con cui, assieme a numerosi altri abbozzi, Pascoli progettò di dar vita a un teatro lirico di poesia, «un dramma musicale», secondo la sua stessa definizione, destinato a modernizzare la tragedia antica e in grado di gareggiare con i coevi grandi modelli europei, rappresentati da Wagner e da Debussy. Questo naturalmente con l'ausilio di musicisti di talento e di affine sensibilità, gente del calibro di Puccini, Zandonai, Zanella, Zagari, Cuscinà e soprattutto dei due Bossi, Marco Enrico e Renzo, con i quali intrattenne per anni un fitto scambio epistolare, legato alla realizzazione dei suoi drammi.
Proprio con questi ultimi e soprattutto con il giovane Renzo (Como 1883-Milano 1965), il rapporto epistolare è particolarmente intenso e anche affettuoso, agli inizi del nuovo secolo. Sentite come il poeta lo apostrofa in questa, datata Messina, 9.2.1902, una cioè delle prime tra le numerose missive a lui indirizzate, in cui tra l'altro si professa e firma «suo amico paterno»: «Caro Tramaglinetto e Mozartino, vede come ci intendiamo? Io rispondo alle sue lettere, prima di vederle. Sì. Sì! Dunque io lavoro con lei mediante il telegrafo senza fili, dell'anima». Epiteti, questi del Tramaglinetto e Mozartino, venati di affettuosa e trepidante sollecitudine, non meno del «caro gentile Renzo» e del «piccolo trovatore», che tempestano tutte le lettere, a riprova di un'intesa immediata ed istintiva, fondata sul «telegrafo senza fili, dell'anima», stabilitasi tra i due, tra il già affermato poeta e il poco più che imberbe musicista, dacché quest'ultimo si è azzardato a interpellarlo per chiedergli l'autorizzazione a musicare il prologo del dramma Anno Mille, una novantina di versi in tutto, pubblicati a Bergamo su un "numero unico" del '97 in onore di Gaetano Donizetti nel centenario della nascita.
Giovanissimo ma già ben consapevole dei propri mezzi, Renzo si pone dunque sulla scia del padre, il celebre Marco Enrico, direttore del Liceo Musicale «Benedetto Marcello» di Venezia e legato al poeta per averne già musicato il poemetto Il cieco, non solo proponendosi come autore del commento musicale del dramma ma anche suggerendo rimaneggiamenti e soluzioni in ossequio alle proprie idee sulla fusione tra parole e musica, fatta salva l'autonomia creativa del poeta. Per esempio, suggerisce correzioni e integrazioni, lamentando mancanza di teatralità e certi difetti nell'azione che rendono poco credibili personaggi e situazioni. Alle obiezioni il poeta risponde, non di rado accettando ma altre volte indugiando, se non addirittura indirizzando l'attenzione del suo giovane amico su altre composizioni per indurlo a musicarle, come per esempio su Bellis Perennis (ossia "la pratolina", dei Nuovi Poemetti), o su un simpatico testo con protagonista la sorella Mariù («Ecco Mariù, a' piedi di un pero / tra il sessantino in fiore, / tra le mani ha un filo d'erba, / ha un po' di gioia nel cuore. / Ella ride: passano l'ore. / Ella guarda: la state muore / e che importa? Sopra la rama / c'è un uccellino che la chiama / e c'è un cuore, cuore che l'ama»), trovando talvolta come in quest'ultimo caso convinto accoglimento. Il risultato è che il "dramma in musica", per troppi ritardi e rinvii, resterà senza musica. Nel tempo, Pascoli continuerà a lavorarci e gli cambierà struttura e addirittura nome (Nell'Anno Mille o Il ritorno del trovatore).
Un lavoro quanto mai lungo e delicato, dunque, e soprattutto non facile. A testimoniarcelo lo scambio di missive tra loro intercorso, di cui all'Archivio della Biblioteca di Como sono conservate copie e minute: una fitta corrispondenza fatta di lettere e cartoline, inviate dal poeta per lo più da Messina (ma anche da Castelvecchio e una volta da Torino) a Venezia e talvolta a Camerlata («provincia di Como»). Ma di questo eventualmente se ne parlerà in un'altra circostanza.
Vincenzo Guarracino
© RIPRODUZIONE RISERVATA