Cultura e Spettacoli
Martedì 05 Aprile 2011
Matilde, super matematica
che studia chi dà i numeri
La scienziata comasca Matilde Marcolli insegna in California e, a 41 anni, è un'autorità mondiale in materia. Tra le sue ricerche, c'è la sindrome "bipolare" dei ricercatori. Allieva del Liceo Classico «Alessandro Volta» di Como, è figlia di due noti architetti e designer, Anna Rosa Cotta e Attilio Marcolli. Attualmente insegna Matematica al California Institute of Technology. Alcuni suoi libri sono già considerati "classici", tra questi: «Seiberg-Witten Gauge Theory» del 1999, «Arithmetic Non-Commutative Geometry» del 2005. In libreria, da qualche mese è uscito «Feynman motives» del 2010.
Una scienziata lariana a Hyderabad, in India. Al recente congresso dell'Unione Matematica Internazionale, che si svolge soltanto ogni 4 anni, ha tenuto una relazione anche Matilde Marcolli, affermata studiosa di matematica e fisica, nata a Como nel 1969, docente al California Institute of Technology. "La Provincia" l'ha intervistata.
Dopo la laurea in Fisica a Milano ha perfezionato i suoi studi di Matematica negli Stati Uniti, a Chicago. Per un decennio ha lavorato a Bonn. E ora?
Ho insegnato per tre anni al Massachusetts Institute of Technology (MIT), e ho poi lavorato per diversi anni al Max Planck Institut für Mathematik in Bonn:il Max Planck è un istituto di ricerca. Ho ripreso solo in questi ultimi anni a fare insegnamento universitario al California Institute of Technology (Caltech) di Pasadena.
C'e un motivo conduttore nei suoi studi?
Sono sempre stati dominati dalle interazioni tra la matematica e la fisica teorica. Inizialmente, sia nella tesi di laurea in fisica che poi in quella di dottorato in matematica, mi sono occupata delle Teorie di Gauge, che rappresentano un modo elegante e geometrico di descrivere le interazioni tra le particelle elementari, sviluppato prima dal punto di vista fisico, a partire dagli anni '60 e '70, e poi da un punto di vista più matematico a partire dagli anni '80. Ai fisici interessano perché descrivono le forze e le interazioni fondamentali della materia, ai matematici perché, sorprendentemente, danno un modo di distinguere spazi di dimensione tre e quattro che sono altrimenti estremamente difficili da classificare. L'idea di base è semplice ma al tempo stesso profonda: si riesce a dire che la geometria di due spazi è diversa se le particelle elementari si comporterebbero muovendosi e interagendo in modo diverso nell'uno o nell'altro spazio.
Si è quindi mossa alla frontiera tra due discipline scientifiche?
Nel 1994, l'anno in cui mi trasferii a Chicago per iniziare il dottorato in Matematica, ci fu un "cambio di paradigma" nel campo dello studio matematico delle Teorie di Gauge, con l'introduzione di una nuova teoria, chiamata di Seiberg-Witten. Fu un buon momento per mettersi a lavorare sulla nuova teoria, e così nella mia tesi di dottorato mi concentrai su quella e le sue applicazioni allo studio degli spazi in dimensione tre. Ebbi così un'offerta di lavoro dal Mit, che era uno dei centri principali per lo studio di questi problemi. La successiva offerta dall'Istituto Max Planck venne più inaspettatamente, ma non esitai ad accettarla per l'eccellente reputazione scientifica di quel centro di ricerca e anche perché ci sono pochissimi lavori nella ricerca scientifica che non comportano insegnamento e lasciano la totalità del tempo a disposizione appunto per la ricerca, e riuscire ad averne uno è un privilegio raro».
Come si è trovata in Germania?
Non ho mai amato troppo l'idea della vita in Germania: per quanto le condizioni di lavoro agli Istituti Max Planck siano eccellenti, probabilmente migliori che in qualsiasi altra istituzione accademica io abbia visto finora, la struttura rigida, gerarchica e patriarcale della società tedesca, l'eccesso di inutile formalità, sono poco compatibili con lo spirito libero e sempre un po' anarchico della ricerca scientifica. Comunque l'esperienza di lavoro al Max Planck è stata ottima: mi ha permesso di cambiare direzione di ricerca completamente, esplorando nuovi problemi. Questi sono sempre legati a interazioni tra la matematica e la fisica teorica, ma questa volta si è trattato piuttosto di usare metodi provenienti dalla teoria fisica della meccanica statistica quantistica (che descrive sistemi probabilistici formati da particelle con comportamento quantistico ed il loro comportamento a diverse temperature) in un contesto del tutto inaspettato, il campo tradizionalmente più astratto della matematica pura, la teoria dei numeri.
Qual è il punto di connessione tra fisica teorica e matematica pura?
Il punto fondamentale della connessione tra questi due campi in apparenza così diversi sta nel fatto che certe strutture algebriche studiate in teoria dei numeri hanno simmetrie che si comportano come le simmetrie di un sistema quantistico di particelle in interazione, per esempio come un fenomeno fisico di magnetizzazione. Questa è una direzione di ricerca che sto ancora continuando. Più recentemente, dopo essermi trasferita qui a Caltech, che ha un'eccellente gruppo di ricerca in cosmologia e astrofisica (legato al Jet Propulsion Laboratory della NASA) ho cominciato anche ad occuparmi di modelli matematici per la cosmologia, soprattutto per capire il misterioso fenomeno dell'"Inazione" che ha portato all'espansione rapida nell'universo primordiale immediatamente dopo il Big Bang. In generale credo nell'importanza di continuare sempre ad esplorare nuove direzioni di ricerca.
Tra le sue numerose attività, si è occupata della sindrome depressiva che colpisce molti ricercatori. Come mai?
Della "sindrome bipolare" si parla poco. Si sa che ha un'incidenza di circa l'un percento sulla popolazione generale, ma curiosamente, secondo diversi studi recenti, quando si guarda invece la parte della popolazione che si occupa di mestieri cosiddetti creativi (artisti, scrittori, scienziati, musicisti) si trova invece un'incidenza ben più alta, intorno al dieci percento. A ben vedere, questo non è del tutto sorprendente, perché è una delle caratteristiche della sindrome bipolare è di conferire momenti di intensità creativa superiore.
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