Cultura e Spettacoli
Lunedì 04 Aprile 2011
"Torniamo all'umanesimo
per rilanciare l'economia"
Iniziamo con Martha Nussbaum, filosofa Usa e tra i pensatori di maggior rilievo internazionale, il confronto sul tema dei "valori", al centro delle "Primavere di Como" e, in particolare, del secondo appuntamento, il 14 aprile alle 20.45, nella chiesa di San Giacomo. Partecipa ai sondaggi sui "valori" nella homepage del sito.
«Ci troviamo nel bel mezzo di una crisi di proporzioni inedite e di portata globale. Non mi riferisco alla crisi economica mondiale che è iniziata nel 2008 (...) Mi riferisco invece a una crisi che passa inosservata, che lavora in silenzio, come un cancro; una crisi destinata ad essere, in prospettiva, ben più dannosa per il futuro della democrazia: la crisi mondiale dell'istruzione». Lo scrive Martha Nussbaum nell'ultimo suo libro, "Non per profitto", uscito da poche settimane con il Mulino. Docente di legge ed etica all'Università di Chicago, la Nussbaum è uno dei maggiori filosofi viventi. Ha pubblicato numerosi libri in italiano, la più parte dei quali era protesa verso lo sforzo di valorizzare il patrimonio dell'umanesimo che ci viene dalla culture classiche, sottolineandone l'importanza irrinunciabile per il mondo contemporaneo. Questa stessa sensibilità è al centro di "Non per profitto".
Professoressa Nussbaum, lei parla di cambiamenti radicali in atto nel mondo dell'istruzione: di cosa si tratta?
Gli studi umanistici e artistici vengono ridimensionati, nell'istruzione primaria e secondaria come in quella universitaria, praticamente in ogni paese del mondo. Visti dai politici come fronzoli superflui, in un'epoca in cui le nazioni devono tagliare tutto ciò che pare non serva a restare competitivi sul mercato globale, essi stanno rapidamente sparendo dai programmi di studio.
Robert J. Samuelson ha detto che «gli americani hanno una stravagante fede nella possibilità che l'istruzione possa risolvere problemi sociali di qualsiasi natura»: è d'accordo?
No, semplicemente perché non credo che gli americani di oggi facciano così tanto affidamento sull'istruzione. Tuttavia, a mio avviso, quest'ultima resta strategica per fronteggiare i problemi sociali: si pensi solo a quanto è importante l'istruzione primaria. Se la scuola ha un buon livello qualitativo, i cittadini si rendono conto della sua importanza e finiscono per averne fiducia. Una massa di dati empirici è lì a dimostrarlo; ciò nonostante vengono inesorabilmente tagliati programmi come il nostro "Head Start" (lanciato dal Dipartimento federale della sanità e dei servizi sociali nel 1965, il programma offre sostegno ai figli delle famiglie a basso reddito, soprattutto per consentire loro di studiare. Ndr), la cui finalità principale era quella di limitare la dissipazione delle potenzialità umane. Il nostro Congresso l'ha appena tagliato, e lo stesso hanno fatto molte amministrazioni locali dei vari stati americani con programmi analoghi. Quindi mi sembra evidente la mancanza di fiducia nella scuola e nelle sue potenzialità, oggi largamente diffusa.
Nel suo libro lei mette a confronto l'istruzione degli Stati Uniti con quella dell'India: perché ha scelto di lavorare su questi due paesi?
Perché sono i paesi in cui svolgo la mia attività di docente da molti anni. Ho sempre vissuto e lavorato negli Usa, ma ho scritto diversi libri sull'India, ho collaborato a lungo con delle organizzazioni non governative e insegnato in India. Proprio in questi mesi, la mia università - l'Università di Chicago - sta creando una nuova sede in India (sono di ritorno da un recentissimo viaggio a Delhi a questo proposito).
Lei sostiene che vi sia un legame fra l'istruzione e lo sviluppo di un Paese: ci può spiegare in che termini?
In primo luogo dobbiamo chiederci cosa sia lo sviluppo? Si focalizza sempre l'attenzione sul reddito pro-capite, ma è possibile scegliere una prospettiva diversa che personalmente trovo più convincente: è il cosiddetto "paradigma dello sviluppo umano". Quest'ultimo definisce lo sviluppo in termini di ventaglio d'opportunità alla portata della generalità delle persone, in diversi ambiti, includendovi la salute, l'istruzione, la politica e la libertà religiosa, prendendo ovviamente in esame anche l'accesso ad un livello minimo di risorse materiali. Senza dubbio l'istruzione è importante per lo sviluppo economico, ma non richiede che tutti i cittadini ne siano in possesso: il Pil di un Paese può crescere grazie ad una èlite educata alla cultura tecnica, mentre le masse povere delle campagne rimangono per lo più illetterate. Il paradigma di cui parlo misura invece il progresso in ordine a ciò che è disponibile per chiunque; a questo proposito, l'istruzione è strategica perché apre opportunità occupazionali, ma è decisiva anche in termini di partecipazione politica e di accesso al sistema dei diritti arrivando persino a proteggere maggiormente la propria salute ed integrità fisica. Le faccio un esempio: una donna vittima della violenza del marito, che non abbia l'opportunità di leggere, ha poche probabilità di uscirne e costruirsi una vita migliore.
In Italia soprattutto ma anche altrove, i politici della nostra epoca non sembrano invece credere affatto al valore e all'utilità sociale dell'istruzione: perché a suo avviso?
>Da molte parti sento dire che i politici credono sì nell'istruzione, in una sua versione però piuttosto angusta, legata al profitto a breve termine, che richiede soltanto abilità tecniche. Questo genere d'istruzione non è utile neppure all'industria culturale, dove si richiede rigore critico e immaginazione, e certamente non giova alla democrazia, una forma di governo in cui - come diceva Socrate molti secoli addietro - i cittadini devono sapersi occupare dei propri problemi, anziché delegare la tradizione o l'autorità. Tale facoltà è coltivata dalla filosofia e dalle altre discipline umanistiche, e consiste nella capacità di cogliere le implicazioni e le conseguenze di una singola decisione politica su larghe fasce delle popolazione.
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