La critica di tutto il mondo lo considera: «il maestro dell'avventura», per i librai è semplicemente: «mister best-seller». Ma per sua moglie Mokhiniso: «È un vero romantico. Un uomo forte, determinato, sa vivere la vita». Elegante, con un'ironia old british, Wilbur Smith ricorda l'infanzia in Africa, i safari, il desiderio di viaggiare e conoscere che non si è ancora spento. 78 anni, vive fra Londra, il Sud Africa e Mosca, ha scritto 33 romanzi, pubblicati in 26 Paesi, è amatissimo in Italia dove ha venduto più di 22 milioni di copie.
Bambino, come si immaginava da grande?
Come tutti i ragazzi vagavo alla ricerca di un posto che potesse andare bene per me in questo mondo. Non è passato molto tempo prima di capire che non sarei mai diventato un medico o uno scienziato ma che l'unica mia aspirazione era creare delle storie. A 25 anni, alla fine dell'università, ho scelto la scrittura, da allora è stata una ricerca, un inseguimento continuo di questo obiettivo.
Come ricorda la sua infanzia?
Sono nato e cresciuto in un ranch selvaggio nella Rhodesia del Nord, ex colonia inglese, oggi Zambia. Mio padre era severissimo, un uomo all'antica, vittoriano. Quando ho compiuto 8 anni mi ha regalato un fucile Remington calibro 22, con 122 tacche. Era stato di mio nonno, Courtney James Smith, una leggenda vivente.
Suo nonno, suo padre erano cacciatori, lei lo è stato. C'è qualche affinità tra un abile scrittore e un cacciatore?
Anche Hemingway lo era. Se si vuole scrivere dell'Africa non si può prescindere dalla caccia e dagli animali. L'Africa è caratterizzata dalla fauna selvatica e dalla natura, entrambe hanno avuto un ruolo importante nella mia percezione del continente.
Le è stato spesso rimproverato di parlare dell'Africa e non degli Africani. Cosa risponde?
In ogni storia che racconto ci sono tutti gli elementi per renderla accessibile ai lettori. Scrivo del Sud Africa perché sono un bianco Sud Africano, ho affetto per le popolazioni indigene, non ho vissuto la loro vita, non sono cresciuto come un membro di una tribù, non ho attraversato le cerimonie di iniziazione, né vissuto in un capanno fatto di erbe e sterpaglie, da bambino non ho fatto il mandriano. Tutte queste cose le ho solo osservate, posso scriverne ma non sono mai riuscito a catturare l'essenza di quella vita che non ho mai realmente vissuto.
Quando si è reso conto che la scrittura sarebbe diventata la sua professione?
Con il primo romanzo "Il destino del Leone", uscito nel 1964 e ispirato alla figura di mio nonno. A volte rimango ancora attonito quando sento definirmi il maestro o il re dell'avventura, ci sono tanti altri scrittori in questo filone che scrivono bene, in fondo ho ancora dei dubbi, mi chiedo cosa ho raggiunto. Se ripenso ai miei ultimi 50 anni, non dovrei dirlo, ma sono molto contento di ciò che ho fatto.
Nel suo ultimo romanzo «La legge del deserto» (Longanesi), per la prima volta la protagonista è una donna, Hazel…
Nei primi libri non conoscevo abbastanza le donne, i miei personaggi femminili apparivano solo come oggetto di innamoramento da parte degli uomini. Man mano la mia esperienza della vita è cambiata, ho incontrato donne importanti, sensibili e determinate. Questo mi ha portato ad avere una certa riverenza nei confronti dell'universo femminile. La spiaggia infuocata segna l'inizio delle mie eroine. In "Hazel" si incontrano tutto il rispetto e l'ammirazione che nutro nei confronti delle donne. La ammiro perché sa gestire perfettamente ogni situazione e combatte per difendere i propri diritti e quelli di sua figlia.
Quando è importante, per la sua opera, sua moglie Mokhiniso?
È la mia compagna da 11 anni. L'ho conosciuta in un momento della vita difficile e doloroso: la mia precedente moglie, Danielle Thomas, madre dei miei figli, era morta di tumore nel 1999. Io l'avevo assistita per molto tempo e ne ero uscito distrutto, soprattutto emotivamente.
Come vi siete incontrati?
In una libreria di Londra, Mokhiniso si era da poco laureata in legge a Mosca (è originaria del Tagikistan) ed era venuta in Inghilterra per frequentare un corso di inglese. Stava acquistando un libro di Grisham, l'ho interrotta e le ho suggerito di leggere uno dei miei. Conosco gli studenti, so che vivono sempre con pochi mezzi, così l'ho invitata a pranzo in un ristorante famoso e ho ordinato caviale. Lei l'ha assaggiato e ha subito commentato che non era un granché e lo stavo pagando più del suo reale valore. Sincera e divertente.
E come vi siete innamorati?
È una donna bellissima, intelligente, coraggiosa. Ho subito intuito che non aveva avuto una vita facile, Mokhiniso sa essere leale e ha una grande dedizione per me e per la sua famiglia. È un riferimento per tutti i suoi familiari che vivono lontano. Non volevo lasciarmela scappare. Quando le ho chiesto di sposarmi ci ha pensato tantissimo prima di dirmi di sì, aveva molti dubbi, abbiamo 38 anni di differenza. Ma l'amore è stato più forte.
Se tornasse indietro cosa non rifarebbe?
Non rimpiango nulla di ciò che ho fatto, da ogni errore ho saputo trarre insegnamento. La vita è un processo d'apprendimento continuo, se si impara dagli errori commessi non è buttata via, ma se si rifanno sempre gli stessi errori, è stupido.
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