Cultura e Spettacoli
Martedì 19 Aprile 2011
Un giorno memorabile
porta Como al Museo
Il 21 settembre del 1969 la città divenne un'opera d'arte, con eventi no-stop realizzati da grandi artisti, da Ico Parisi a Bruno Munari. Ideata dal critico Luciano Caramel, quella manifestazione è ora riproposta, tramite immagini e altri documenti, a Palazzo Reale, nel nuovo spazio del Museo del Novecento.
Concludendo la presentazione della mostra "Fuori! Arte e spazio urbano 1968-1976", che inaugura il nuovo spazio espositivo di Palazzo Reale, la direttrice del museo del Novecento Marina Pugliese rivela che tale evento costituisce, oltre al completamento del percorso artistico della collezione, che si conclude con l'Arte Povera, anche «un banco di prova per capire se e come a quarant'anni di distanza è possibile comunicare l'arte in modo trasversale». Questa domanda può essere il punto di partenza di una riflessione sugli esiti delle ricerche sperimentali e provocatorie di molte forme e operazioni artistiche degli anni compresi tra il 1968 e i Settanta. La mostra stessa per come è configurata, basata sulla proiezione di filmati e la raccolta di documenti fotografici e cartacei, rivela un modo di fare arte del tutto diverso da quello cui si è soliti immaginare. Niente sculture, né dipinti, ma installazioni effimere, della durata di un giorno o poco più, o addirittura azioni più vicine all'arte performativa che a quella da museo. Operazioni che sono appunto oggi solo documentabili attraverso registrazioni originali o testimonianze dei protagonisti.
Quel periodo artistico, che ha rivoluzionato completamente il modo di fare arte in nome di un'arte "fuori", fuori dai musei e dai luoghi ristretti degli addetti all'arte, verso, invece, lo spazio della vita sociale, ha avuto però in alcuni casi esiti non sempre compresi dal vasto pubblico. Ciò è avvenuto ad esempio - come è documentato nella mostra curata da Silvia Bignami e Alessandra Pioselli - nel 1970 per le manifestazioni celebrative del Nouveau Réalisme, durante le quali artisti oggi acclamati nei grandi musei internazionali quali César o Arman non vennero assolutamente compresi dai milanesi che si aggiravano scettici e spaesati in piazza Duomo di fronte alle accumulazioni di materiali di scarto o alle germinazioni di poliuretano espanso che rivoluzionavano l'idea di scultura e allo stesso tempo denunciavano il consumismo della società di massa. Tali eventi avevano anche lo scopo di confrontare l'arte con il tema della città e del vivere sociale, proponendo modelli alternativi e occasioni di riflessione rispetto a quelli prevalenti.
In tale prospettiva si pone in quegli anni anche Campo Urbano, curata e coordinata da Luciano Caramel, documentata al museo del Novecento con una serie di fotografie di Ugo Mulas che danno l'idea dell'animazione e del coinvolgimento del tessuto urbano della città. Una serie di giovani artisti e in primo luogo Giuliano Collina, con cui Caramel si era confrontato nell'ideazione dell'evento e altri artisti già sensibili sul versante dell'indagine arte-società come Francesco Somaini, Paolo Minoli, Ico Parisi, Luciano Fabro e Giuseppe Chiari hanno animato con performance le strade del centro cittadino e sollecitato un confronto sul tema arte-società.
Di questa operazione e di altre simili come Volterra 73 curata da Enrico Crispolti o Arte povera + Azioni Povere Amalfi curata da Germano Celant ad Amalfi nel 1968, si occupò anche la Biennale di Venezia nell'edizione del 1976, dedicata all'ambiente, intendendo questo termine nell'accezione di "ambiente sociale". La mostra di Venezia faceva il punto sulle diverse modalità di apertura all'ambiente sociale individuando alcune tipologie di intervento, private o in collaborazione con gli enti pubblici. Tra queste vi erano operazioni artistiche che contestavano in modo conflittuale entro il contesto urbano creando un forte impatto emotivo; momenti di "avvertimento ideologico e di memoria" che intendevano rompere un ordine fittizio suggerendo una diversa consapevolezza della realtà della condizione sociale urbana, come avvenne a Volterra; opere definite di «riappropriazione urbana» individuale, che studiavano il contesto sociale e si interrogavano sull'ingerenza dei codici consumistici, scoprendo codici alternativi, sotterranei ed emarginati, come quelle realizzate da Ugo La Pietra anche a Como dove coprì le vetrine di via Vittorio Emanuele con teloni neri impedendone l'accesso. La mostra di Como si inserisce quindi pienamente, anticipando anche altre occasioni simili, nel clima di quegli anni e il suo riconoscimento storico oggi, con la partecipazione inoltre di molti protagonisti di allora e in primis di Caramel, dimostra non solo la validità dell'evento, ma anche la sua attualità. È grazie infatti a quel tipo di sconfinamenti dell'arte nel sociale che è oggi possibile godere, ad esempio, dell'invasione dell'arte nelle strade di Milano durante il salone del mobile e sentire l'atmosfera pulsante della creatività in molte occasioni quotidiane della nostra esistenza. Il prezzo pagato, come spesso avviene per quegli eventi che anticipano i tempi, è stato quello di non essere stati compresi, almeno dal grande pubblico e dall'amministrazione pubblica. La traccia lasciata però è patrimonio storico e culturale da celebrare certo, ma soprattutto da rivivere nell'attualità.
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