Cultura e Spettacoli
Lunedì 25 Aprile 2011
Moretti: "Racconto lo smarrimento
tipico della nostra società"
Il regista di "Habemus Papam": "Quella fragilità non appartiene solo al protagonista del film, ma anche a persone che sono molto diverse da lui e da ciò che racconto"
Curiosa e interessante tendenza quella del cinema dell'ultimo mese. Dalla miglior media copia per sala de La fine è il mio inizio, su Tiziano Terzani, il giornalista guru che trovò il senso della vita sull'Himalaya, ad Habemus Papam, il nuovo film di Nanni Moretti, che ha esordito nel primo fine settimana con 1.300.000 euro circa d'incasso (secondo dietro al cartoon Rio) e che ci racconta di un Papa depresso e angosciato. Riflessioni spirituali- e in alcuni momenti persino spiritose- che trovano nel pubblico, solitamente abituato a messaggi più gretti, molta ricettività. E persino Nanni Moretti sembra più aperto, sereno- anzi no, ha rimproverato per ben due volte Fabio Fazio per averlo definito tale- e disponibile a raccontare il suo film e il suo lavoro. Nell'Hotel Visconti di Roma, con la fedelissima Vespa parcheggiata fuori, ci concede un'intervista con cui, al di là dei pregiudizi e degli anatemi a mezzo stampa (dall'Avvenire forse era scontato, molto meno da Il Riformista), possiamo capire meglio Habemus Papam.
Moretti, partiamo subito dal primo miracolo del film: uno straordinario Michel Piccoli. Ha stupito anche lei?
Capisco che è una cosa un po' ingenua da dire, visto che io ho scelto il protagonista, gli ho costruito attorno il film, l'ho diretto e ci ho trascorso insieme molte settimane. Ma non si tratta di scoprirne il talento, ovvio, la sua bravura è nota. Non mi ero accorto a pieno, piuttosto, quanto le sue espressioni, i suoi occhi, i suoi silenzi, i suoi scatti, le sue parole avessero dato all'opera. Il suo apporto è stato ancora più centrale di quello che avevo intuito durante la lavorazione. Ha un magnetismo particolare, unico, che hanno solo pochi attori, tanti, pur molto bravi, non hanno il suo carisma. Mi ero accorto che era entrato bene nel film, che ci capivamo al volo, ma solo vedendo il film tutto insieme ho capito davvero. E mi sono stupito io stesso del risultato.
C'è chi parla di un Moretti tornato ai tempi d'oro. E' d'accordo?
Un critico (Fabio Ferzetti- ndr), ha citato Palombella Rossa, credo si riferisse all'unità di luogo comune a entrambe le opere. Non c'entrano nulla i due film, ma condividono una libertà narrativa forte. E come allora, qui metto insieme registri, cose, situazioni, sentimenti, personaggi apparentemente inconciliabili e molto lontani tra loro per farli vivere nello stesso film. Mi sembra, anche se è presto per dirlo, che questo tentativo sia riuscito.
Cosa cercava da Habemus Papam? Cosa voleva raccontare?
Quella fragilità, quella vulnerabilità, quel senso di inadeguatezza che non appartengono solo a questo Papa, ma anche a spettatori e spettatrici che sono per fede, età, ambiente, idee molto diversi da lui e da ciò che racconto. Credo ci sia, ai giorni nostri, uno smarrimento, una difficoltà ad andare avanti che riguarda molti nella nostra società.
Ancora una volta uno psicanalista per lei. Un ruolo molto divertente, com'è nato?
Una volta stabilito che ero io l'interprete dello psicanalista, è venuto fuori quel racconto: sport, l'organizzazione del torneo di pallavolo tra i cardinali diviso per continenti, tante cose che un po' fanno parte di me e un po' mi piace raccontare quando ci sono io in mezzo. Prendo in giro anche quella che molti pensano, sbagliandosi, sia la mia presunzione. Non sanno quanto sono lontani dal vero. Lo psicanalista che dice “che condanna, sono il più bravo” a quello si riferisce. Mi sono divertito a giocare con il personaggio che interpreto oltre che a seguire il Papa nelle sue passeggiate romane.
Il film è una riflessione sul potere e sul suo peso che molti sottovalutano?
Confesso, non ci ho pensato, non era nella scrittura e in questo momento non riesco con freddezza a valutare questo aspetto. Non riesco ancora a leggerlo così. Magari nel mese che mi divide da Cannes capirò e lì dirò cose più intelligenti sul mio film. A volte un regista scopre qualcosa sul suo film, lo dico senza demagogia, anche grazie agli altri, agli spettatori semplici e a quelli di professione.
Alcuni hanno definito il suo film un elogio alla rinuncia. E' d'accordo?
No, non è un invito a sottrarsi alle prove della vita, piuttosto un racconto di una persona che non ce la fa. In alcuni momenti della vita ci troviamo impreparati, in quei momenti sorge il dubbio, l'insicurezza, il sentirsi incapaci. A volte tutto questo ci aiuta a superare questi ostacoli, a volte ci paralizza.
Lei lascia volutamente sullo sfondo i grandi temi, teologici e non. Come mai?
La mia riflessione non voleva essere rigida. Alcuni dicono che se ridicolizzo qualcosa, è la psicanalisi e non la fede. E un po' lo si vede nella deformazione professionale e di carattere di Brezzi che ha la necessità di andare a cercare nella Bibbia gli indizi della descrizione di una patologia psichica. Io volevo solo raccontare la storia di un uomo, anche se in un ruolo e in un contesto speciali, non metter su un confronto aspro tra ragione e fede. Per questo l'unico momento di confronto avviene mentre lui e il Cardinale sono arbitri di una partita di pallavolo, quasi a segnare una terra di nessuno.
Il suo è un Papa troppo umano, come alcuni dicono?
Molti si stupiscono dell'umanità di questo mio Papa, ma io mi stupirei francamente del contrario. E' uno dei circa 100-120 cardinali eleggibili e ci sta che possa smarrirsi, avere paura di non farcela. Mi interessava raccontare quello stato dell'animo. Non ho voluto essere didascalico, ma si intuisce anche una lotta tra la missione che è chiamato a incarnare il Papa e il senso del suo limite umano, le sue paure, le sue inadeguatezze. Ho cercato di evitare di spiegare troppo, ma si avverte, nei pochi giorni in cui si svolge il film, che lui spera di farcela, di trovare la forza per affrontare tutto.
Felice di tornare al Festival di Cannes?
La gioia di tornare a Cannes è tanta. E' un festival importante persino negli Stati Uniti e per l'industria americana ed è una rassegna che in alcune occasioni è stato fondamentale per il cammino internazionale delle opere cinematografiche.
E di Max Bruno che in Nessuno mi può giudicare fa dire a Papaleo “Ve lo meritate Nanni Moretti” che ci dice?
Che mi sono stupito che sia arrivato 33 anni dopo questo ribaltamento inevitabile, me lo aspettavo. Però non così tardi, confesso.
E sul pesce d'aprile di Radio Rock sul suo film censurato dal Vaticano cosa ci dice? Ci hanno creduto tutti, è indicativo sul paese che è diventato l'Italia?
Ci hanno creduto tutti? Ah, bene. Direi che mi fa riflettere più che sull'Italia, sul potere dei mezzi di comunicazione nel nostro paese, sulla nostra fragilità di fronte ad essi e alla pigrizia con cui spesso ci approcciamo alle notizie.
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