Cultura e Spettacoli
Lunedì 25 Aprile 2011
Tedeschi e antifascisti
Una Storia da riscrivere
Il generale Leyers, a Como, salvò la vita a un partigiano - Una testimone narra i giorni che precedettero la Liberazione
In quei giorni di fine aprile del 1945, Bruna Masciadri Lai aveva 18 anni e l'impetuoso carattere di un'adolescente, perciò, quando fece ritorno a casa sua e nella sua stanza trovò una divisa tedesca, si arrabbiò moltissimo. Ne chiese conto a sua madre Ginevra e lei la portò in salotto, dove un uomo in abiti civili guardava dalla finestra una lunga fila di militari tedeschi che sfilavano sul lungolago in direzione dello stadio, sorvegliati da un solo americano, e piangeva come un bambino. Allora capì. Quell'uomo faceva parte della Ruk (Ruestung und Kriegsproduktion, il Dipartimento nazista per il controllo sulla produzione industriale) comandato dal generale Hans Leyers, che subito dopo l'8 settembre si era installato nella villa requisita ad Eugenio Rosasco, rifugiatosi in Svizzera, lasciando a Como, fra le tante altre cose, una splendida biblioteca. Bruna Masciadri dunque, volente o nolente, era diventata vicina di casa di Leyers e dei suoi uomini, come quel Paul Muller che davanti a quei soldati vinti e senza speranza non tratteneva le lacrime. Leyers non era un barbaro - neanche un libro della biblioteca fu danneggiato - e anche la sua fedeltà al nazismo lasciava parecchio a desiderare. Così, malgrado Ginevra Masciadri fosse impegnata da sempre nella Resistenza, con un padre come Giuseppe Bedetti, socialista e amico di Matteotti, e un marito collaboratore di Parri in Piemonte, i rapporti con il capo della Ruk erano andati ben oltre il buon vicinato, fino a procurare ai tedeschi un vestito borghese nel momento in cui un vestito borghese poteva diventare un passaporto per la vita.
"Mia madre - ricorda Bruna Masciadri - era fatta così. Su una parete di casa mia c'era una scritta, "Omnia vincit amor", e il divieto assoluto di dire "Io odio". Così lei aiutava tutti, perfino con una buona dose di incoscienza, esponendosi a rischi che a me sembravano pazzeschi". In effetti, mentre in città "all'ultimo minuto tutti erano diventati antifascisti, perché cambiare camicia era semplice", lei che nei mesi precedenti, quando i tedeschi facevano ancora paura, non aveva esitato a fare della propria casa il punto di passaggio verso la Svizzera per antifascisti ed ebrei in fuga (lo ricorda una targa allo Yad Vashem a Gerusalemme) ora non esitava ad accompagnare personalmente i quattro collaboratori di Leyers in prefettura, fra una folla vociante e comprensibilmente assetata di vendetta, salvando loro la vita. Sì, c'è una sorta di felice contraddizione nelle vicende della famiglia. "Il fratello di mia nonna era Ambrogio Pessina - ricorda - e ci si può immaginare quanta consonanza politica ci fosse con mia madre e mio padre". L'ambiente familiare è di liberi pensatori, ma Bruna va a lezione da un prete. Il nonno socialista ha un enorme rispetto per la gente che lavora, ma predica la "collaborazione di classe". C'è insomma quasi una spinta morale, una necessità etica di girare dietro la luna per vedere com'è fatta l'altra faccia.
E talvolta si scoprono realtà imprevedibili. Nel 1944 Ginevra - ricorda la figlia - ha assoluta necessità di aiuto per far scappare in Svizzera una signora ebrea, Perla Rosemberg, con due bambini, Maurizio e Vittorio. Lo chiede a un carabiniere, il capitano Perone, che invece di arrestarla le fornisce un'auto. È la salvezza per la signora, che Bruna Masciadri incontrerà con comprensibile emozione alla bella età di 97 anni e che ora ne ha 104 e vive a Roma. E quando diventa indispensabile per il marito, che lavora con la Resistenza, un lasciapassare, a chi chiederlo se non a Leyers? Il generale, che non è uno stupido, tanto per salvare le apparenze proclama: "Posso fornirglielo se mi assicura che suo marito non è in montagna". Pronta l'assicurazione di Ginevra, che in seguito spiegherà sorridendo: "Non ho mentito: era in Monferrato, al massimo mezza collina". Uno spirito e un'arguzia che si rivelano utili anche nelle situazioni più difficili. Quando ad esempio, nel 1944, viene arrestata e finisce a Monza al comando delle SS, dove, sottoposta a interrogatorio, riesce a far capire all'interprete che la guerra sta per finire e che "dopo" sarà utile poter contare sulla riconoscenza di qualcuno che sta dall'altra parte. La ragazza così addomestica la traduzione, perora la causa dell'interrogata, che anche questa volta se la cava. Piuttosto, è chi vive con lei che rischia costantemente l'infarto: al momento dell'arresto, quando nottetempo si presenta Saletta con i suoi, in casa ci sono decine di documenti di antifascisti e di ebrei nascosti un po' dappertutto, perfino nei gomitoli di lana. "Sarebbe bastato che qualcuno smuovesse un quadro - ricorda la figlia Bruna - perché saltassero fuori carte estremamente compromettenti. Così la nonna, appena spariti i fascisti, organizzò con il cuore in gola un bel falò, anche se si era d'agosto". Curiosa dimora, quella dei vicini di Leyers, dove si incrociano i più strani viavai. Il segretario del comando, sottratto al fronte russo dal generale che lo ha chiamato presso di sé, ha l'hobby - piuttosto pericoloso in quei tempi - di ascoltare radio Londra e dove l'ascolta? In casa di Ginevra Masciadri, che segnala con uno straccio appoggiato sul cancello l'assenza di pericoli. Senonché una sera qualcosa va storto e il tedesco si incontra con un altro ospite, addirittura un italo-americano organizzatore di lanci con il paracadute in Val d'Ossola. Potrebbe finire in tragedia, e invece non succede proprio nulla. Sotto la divisa, non tutti i tedeschi sono uguali.
Sono tempi difficili, non sempre è facile scegliere. Bruna Masciadri ha solo 18 anni, ma ha davanti a se un esempio che non potrà dimenticare. Un'impronta che ha segnato non solo la sua memoria, ma la sua vita e che resta intatta a tanti anni di distanza.
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