Cultura e Spettacoli
Venerdì 13 Maggio 2011
Giovio "segreto" al Salone
Esce dall'ombra il "Dialogo"
A Torino la "prima" del volume curato dal professor Franco Minonzio, sulla base di documenti comaschi finora inediti. Lo studioso spiega così la sua opera.
di Franco Minonzio
Il Sacco di Roma delle armate imperiali, iniziato il 6 maggio 1527 e protrattosi per mesi, suscitò una vasta e duratura eco tra i poeti, i retori, gli storici dei primi decenni del '500, in Italia e fuori d'Italia. Se ne può rintracciare, ancora qualche anno dopo, una risonanza vivissima nelle parole di Ariosto, dolenti e indignate verso la viltà dei principi italiani (Orlando Furioso, XXXIII, ottava 55): «Vedete gli omicidii e le rapine/ in ogni parte far Roma dolente; / e con incendi e strupri le divine/ e le profane cose ire ugualmente./ Il campo de la lega le ruine/ mira d'appresso, e 'l pianto e 'l grido sente; / e dove ir dovia inanzi, torna indietro,/ e prender lascia il successor di Pietro». Nessuno, tuttavia, seppe allora trarne occasione per una riflessione storica che avesse la profondità del "Dialogus de viris et foeminis aetate nostra florentibus" (ovvero Dialogo sugli uomini e le donne illustri del nostro tempo) di Paolo Giovio. Scritto ad Ischia tra il 1528 e il 1529, ma ambientato nell'ultimo scorcio del 1527, su sollecitazione della poetessa Vittoria Colonna, presso la quale Giovio si era rifugiato dopo l'espulsione da Roma, il "Dialogus" consegna alla riflessione futura un quadro di non comune intelligenza dell'Italia prima del Sacco, e di quella - irreversibilmente mutata - che il Sacco avrebbe lasciato sul terreno. É una diagnosi, quella che il medico-storico Giovio formula, in una condizione che non ammetteva terapia. L'idea forte che permea i tre libri del "Dialogus" è la coscienza della profondità della crisi italiana, la percezione delle remote origini storiche della fragilità del ceto aristocratico: mondo signorile che, come quel personaggio epico-cavalleresco, «del colpo non accorto/ andava combattendo ed era morto». Si era definitivamente chiusa un'epoca. Nella finzione dialogica, Ischia è teatro dell'incontro tra Giovio stesso, Alfonso d'Avalos, marchese del Vasto, generale dell'armata di Carlo V, e il senatore di Napoli Giovan Antonio Muscettola. Nelle tre giornate, ciascuna delle quali coincidente con un libro, si affrontano gli aspetti cruciali della crisi italiana esplorandone le ragioni (della debolezza militare degli stati; del declino della ricerca letteraria; della fragilità dell'universo signorile). Sulla densa pagina gioviana, secondo uno schema in ciascun libro variabile, di volta in volta diacronico, tematico, spaziale, sfilano comandanti (libro I), intellettuali (libro II), gentildonne (libro III). Ma, di natura storica più che retorica, come per primo ha messo in chiaro Price Zimmermann, dunque diverso dai modelli di dialogo umanistico correnti fra '400 e primo '500, il Dialogus riceve una luce, affatto particolare, dalle domande che gli interlocutori si pongono: ad esempio nel libro I ci si chiede se "naturale" sia l'inferiorità delle milizie italiane, o se del loro impiego fallimentare non rechino piuttosto responsabilità le repubbliche e i principati; ci si chiede dove e quando, attraverso quali errori tecnici e politici, abbia iniziato a profilarsi una inadeguatezza militare presto trasmodata in sfiducia di sé e discredito; ci si chiede se l'assuefazione al servaggio, unita alle mancanza di buone leggi, non abbia alterato il tessuto morale dell'Italia. Perché il punto non era interpretare i fatti d'arme che portarono al Sacco, ma il processo sociale che lo rese possibile. Ma l'acume e l'importanza storica del "Dialogus" sono tali da imporsi al lettore con tutta evidenza, e dunque non vi insisterò. Fallito il tentativo di pubblicarlo agli inizi del 1530, in occasione dell'incontro di Bologna tra Carlo V e Clemente VII, fino al 1984, quando vide la luce, a cura di Ernesto Travi e Mariagrazia Penco, il IX volume dell'edizione nazionale, il Dialogus rimase inedito, eccetto il libro II, mutilo dell'inizio e della fine, che nel 1780 Giambattista Giovio trasmise in copia a Girolamo Tiraboschi, ed il grande erudito fece in tempo a pubblicare tra le giunte e le correzioni della prima edizione della sua Storia della letteratura italiana (Modena, presso la Società Tipografica, 1772-1782). Sarebbe istruttivo soffermarsi sulle ragioni della mancata pubblicazione, che fu preludio all'oblio: al di là di motivi congiunturali (il venir meno, da parte dei Gonzaga, alla promessa di finanziarne la stampa; i nuovi interessi gioviani di natura geografico-etnografica che condussero, l'anno dopo, alla pubblicazione del Comentario de le cose de' Turchi) è fuor di dubbio che alla decisione di non pubblicare un testo poco indulgente verso l'Imperatore (e, in fondo, anche verso Clemente) concorsero i nuovi equilibri politici sanciti dall'incontro di Bologna, ove il Papa Medici perdonò a Carlo V l'oltraggio del Sacco in cambio dell'aiuto militare a riprendersi Firenze. E forse vi ebbe un ruolo il ripensamento autocritico della gerarchia ecclesiastica su una Roma divenuta, prima del Sacco, Babilonia: ciò che rendeva fuori luogo l'affettuosa rievocazione, da parte di Giovio, di quel mondo libero e carnale, gioiosamente immanentistico, quale era stata la Roma clementina negli anni precedenti il 1527. Giovio tuttavia non cessò di intervenire sul Dialogus, con una fitta testura di correzioni delle quali resta evidente traccia nei tre manoscritti cinquecenteschi che ne tramandano il testo, parzialmente autografi, appartenuti alla famiglia Giovio e tutti conservati a Como : due codici di proprietà della Società storica comense, e appartenenti al Fondo Aliati (librii I e II del Dialogus), ed uno di proprietà della Biblioteca Comunale di Como (libro III). La revisione gioviana si protrasse fino a dopo il 1537, con una elaborazione testuale, che i codici rivelano intricatissima: basterà dire che intere porzioni autografe del libro I sostituiscono, con una redazione giudicata da Giovio più soddisfacente, la copia esemplata dal copista, e nei pochi fogli ove il confronto è tuttora possibile, si vede all'opera un autore instancabilmente intento a rendere affilata l'espressione. Questo, ed altro ancora, basta a far riguardare il "Dialogus"come un autentico "libro segreto" di Giovio: restituirlo nella sua dimensione problematica è stato lo scopo della mia edizione.
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