Cultura e Spettacoli
Domenica 15 Maggio 2011
Il Lario incantato di Edith Wharton
L'autrice de "L'età dell'innocenza" visitò Alto Lago e Valtellina e li raccontò in un libro
Una delle osservatrici più acute di un'Italia nascosta, ma bellissima, è una grande scrittrice americana, Edith Wharton, l'autrice di romanzi che negli ultimi vent'anni sono diventati famosissimi, anche presso il pubblico popolare. Ricordiamo su tutti "Ethan Frome" del 1911 e "L'età dell'innocenza" del 1920. È una scrittrice americana che ha attraversato i primi anni del Novecento, sulla linea del grande Henry James, anch'egli con una gran passione per l'Italia, che usava chiamare la Wharton con curioso soprannome "Lady Pendolo", proprio per i suoi continui viaggi di andata e di ritorno dal Nuovo Mondo al Vecchio Continente. Una vita trascorsa tra gli Stati Uniti e l'Europa, di cui l'Italia diviene la fascinazione del primo periodo della sua vita, poi seguiranno i romanzi e i successi letterari come scrittrice.
Già nel raccontarci la "sua" Italia la Wharton dimostra le sue qualità di grande e sapida scrittrice, curiosa dei particolari, appassionata dai capolavori dell'arte più nascosti, già con un estro narrativo che, spesso trasformano le sue "cronache" italiane, in ben più articolati racconti autobiografici. E in Italia soggiorna spesso, al fianco di nomi d'eccezione come l'amico Henry James e il grande critico d'arte, Bernard Berenson.
All'Italia la scrittrice americana dedica tre opere, il suo primo romanzo, scritto nel 1902, "The Valley of Decision", ambientato nell'Italia del Settecento, il saggio che è diventato un punto di riferimento per gli studi analoghi, "Ville e giardini d'Italia" del 1904, frutto di una lunga esplorazione dell'Italia centro-settentrionale con Vernon Lee e infine, l'anno successivo, il suo grande libro sull'Italia, "Scenari italiani", in cui riassume la sua visione della penisola, raccontadone i viaggi, le scoperte, in un racconto affascinante tra avventure d'altri tempi e riflessioni sull'Italia dell'arte nascosta e da valorizzare.
Ora, dopo anni di assenza dalle nostre librerie, questo libro ritorna, in una preziosa edizione pubblicata da Aragno (pag.156, euro 12,00) con il titolo appunto di "Scenari italiani" (una precedente edizione degli anni Novanta, traduceva invece come "Panorami italiani", anche se pare più corretta, vista la natura del testo, la scelta fatta per la nuova edizione).
L'introduzione è di Attilio Brilli, uno dei massimi esperti del Gran Tour ottocentesco in Italia, in tutti i suoi aspetti. E Brilli racconta la storia del libro, il suo debito alla predilezione della Warthon verso una tradizione Settecentesca più che Ottocentesca, sui modelli di Goethe e Stendhal, il fatto che il libro consista nella raccolta di articoli apparsi su rivista e quindi segnato da una sorta di "discontinuità frammentaria". Per Brilli però questo è anche il suo valore, uno dei tratti della sua modernità. Si tratta di «una frammentazione che non è affatto arbitraria, bensì ironicamente allusiva, come chi si appresti a compiere il proprio "viaggio in Italia", come atto riflessivo e sentimentale nei confronti di una grande tradizione, un'interpretazione moderna della vecchia consuetudine».
La Wharton non ama le tappe obbligate e predilige «le fughe estemporanee dal prevedibile». Per lei questo risulta un piacere irrinunciabile: così in un memorabile agosto d'inizio secolo, decide con i suoi amici di visitare le Alpi Bergamasche e invece fa tutt'altro giro, dalla Valtellina alla Valcamonica, scoprendo, «nel più misero dei paesi, pigiato in un anfratto non battuto delle Alpi», a Cerveno, la Via Crucis di Beniamino Simoni, recentemente riscoperta. Una sorta di anticipazione del giro, tra i Sacri Monti piemontesi, chiusa da una visione che è esempio della «prodigalità del paesaggio italiano», quando «verso il tramonto, le colline si aprono per mostrare il Lago Maggiore ai suoi piedi, con l'Isola Bella ormeggiata come una fantastica nave di delizie sulle sue acque».
Il suo viaggio in Italia si apre proprio attraversando le zone del nostro lago, provenendo dalla Svizzera, in un agosto dei primi del Novecento. Nel villaggio dove si trovano, troppo vicino all'Italia, c'è un continuo arrivo di diligenze, provenienti da Chiavenna, con i cavalli affaticati e i passeggeri accaldati.
Il desiderio di essere in Italia è sempre più forte e una mattina, davanti alla casa dove alloggiano, c'è una carrozza: l'obiettivo specifico è quello di esplorare le Alpi Bergamasche. Meta che, durante il viaggio italiano, viene disattesa, trovando la comitiva altre occasioni migliori. La carrozza sale tra la neve e il ghiaccio verso «la misera dogana italiana». Poi inizia «la lunga discesa nella desolata fola di Madesimo attraverso gallerie di scoscese foreste di pini». C'è un caldo opprimente, quasi simile a quell'"ardore" che è caratteristico della pianura lombarda eppure Chiavenna risulta una cittadina accogliente «con le vecchie case dagli ingressi sormontati da medaglioni di marmo consunto; i cortili resi vivaci dai fiori e ombreggiati dalle viti sui tralicci».
Lì pernottano e la mattina successiva si mettono in viaggio verso Colico, «in cima al lago di Como» e da lì il viaggio prosegue in treno fino a Sondrio. Dalla stazione vedono il lago che «giaceva in uno splendore innaturale sotto il cielo immobile, i picchi frastagliati erano immersi in impalpabili gradazioni di colore di cui, in altre stagioni, non v'è traccia».
Sondrio non gli è molto gradita e così decidono di prendere una carrozza per andare alla Madonna di Tirano, «la grande chiesa dei pellegrinaggi della Valtellina», un luogo che appare loro come «un enorme giardino di frutta e verdura di incredibile fertilità». Per la scrittrice risultano poco interessanti i paesi e le costruzioni in genere, ma ha grande ammirazione per la perfezione delle coltivazioni: «Il gran turco (come viene chiamato il mais) cresce in giungle più alte di un uomo, e l'uva e i meloni hanno la dimensione esagerata e la pienezza della frutta finta olandese». Ad un certo punto «la ricca paciosità di questo panorama fu spezzata dal nobile profilo delle colline, e l'aria si fece più fresca grazie alla vicinanza dell'Adda che seguiva le volute della nostra strada, e da uno scorcio di picchi innevati in fondo alla valle».
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