Cultura e Spettacoli
Domenica 05 Giugno 2011
Calabresi: "Porto in tv
l'Italia che non grida..."
Il direttore de "La Stampa", in un'intervista esclusiva, racconta la sua sfida che parte lunedì 6 giugno su Raitre. "Pensare il futuro mi sembra la maggior difficoltà su cui lavorare". Tra le storie narrate anche quella del comasco Meco Lillia.
Non ha mai sentito il bisogno di andare in televisione, eppure lo farà. Da sempre, sente invece il bisogno di raccontare, attraverso la voce e la scrittura, per ritrovare, specie insieme ai giovani, quel filo conduttore che lega presente, passato e futuro. Per questo, Mario Calabresi, direttore del quotidiano "La Stampa", ha appena pubblicato un libro, "Cosa tiene accese le stelle" (Mondadori), nel quale narra alcune delle più grandi invenzioni dei nostri tempi - a cominciare dalla lavatrice - , nella speranza di far capire alle nuove generazioni, che oggi spesso confidano il loro stato di malessere e faticano a trovare un senso alla loro esistenza. E, sempre per questo, nel suo nuovo programma televisivo, "Hotel Patria", in onda da domani sera su Raitre, Calabresi che, come sottolinea lui stesso, non vuole essere «definito conduttore, bensì narratore», presenterà al pubblico le vicende di persone comuni - tra cui anche il macellaio di Musso (Como), Meco Lillia, titolare del cantiere di barche a vela più vincente al mondo - che, attraverso la passione, il coraggio e il talento, provano a trovare un senso alla quotidianità. E ci riescono. Libro e programma, dunque, hanno un trait d'union ben preciso, dal quale emerge l'amore per la vita, del giornalista che - a soli due anni - visse l'uccisione del padre, il commissario Luigi Calabresi.
«Le storie raccontate (in "Hotel Patria", ndr) – spiega il direttore de La Stampa - sono storie che mi stanno a cuore. E partiamo proprio dal racconto della mia vecchia scuola elementare perché è una delle scuole italiane con il più alto numero di bambini stranieri. Ma aldilà di quello che può essere il dato autobiografico, a me piace essere “dentro” le storie. La patria? Vorrei un Paese capace di guardare più lontano e di pensare al futuro, in cui non ci sia un perenne scontro, in cui ci sia la capacità di progettare. E in cui si dia meno retta a chi grida di più».
Calabresi, la sua vocazione per il racconto arriverà anche sul piccolo schermo….
Dico subito che non mi ha obbligato il medico a condurre un programma: in realtà, non ci avevo mai pensato e nemmeno ne sentivo il bisogno. Prima di Natale, però, il vicedirettore Raitre mi ha detto: «Perché non prepari una trasmissione di storie?». Inizialmente, ero impegnato e gli ho risposto: «No, grazie», poi, durante le vacanze, ho cominciato a pensare e a fare una ricerca su una serie di vicende che, in questi anni, mi avevano colpito. Queste storie hanno cominciato a “rapirmi” e mi hanno intrappolato. Non faccio questo programma per la tv, ma solo per il racconto.
Il suo libro e il suo programma parlano dell'Italia, nell'anno del centocinquantesimo dell'Unità. Solo una coincidenza?
Quest'anno, certamente, l'Unità è un tema attuale, ma trovo che oggi, quando si parla del nostro Paese, lo si faccia solamente attraverso il dibattito politico. Invece, gli argomenti e le problematiche più grosse hanno una declinazione reale nella vita delle persone. Per questo, ho voluto raccontare storie, che non sono straordinarie, ma che vedono protagoniste persone che “ci provano”, che provano a farcela.
Si intravede, nelle storie che lei racconta, un filo conduttore ben preciso tra il presente, il passato, ma soprattutto il futuro…
La questione è che viviamo in un Paese che fatica non solo a pensare al futuro, ma anche a immaginarlo, dato che gli orizzonti della politica e della società sono caratterizzati da scadenze imminenti. Al contrario, è importante, e noi, nel programma, l'abbiamo fatto, andare dai bambini che nel 2050 avranno cinquant'anni, per fargli dire cosa pensano e cosa desiderano per il loro futuro.
Nelle sue narrazioni, c'è anche l'aspetto autobiografico: parla della scuola elementare di via Paravia, a Milano, che frequentò da bambino...
Sì, ma si tratta anche e soprattutto di uno spunto per tracciare la differenza tra come era questa scuola trent'anni fa e come è oggi. Uno degli studi demografici più recenti prevede che entro il 2030, nelle scuole, ci sarà un sorpasso dei bambini stranieri sui bambini italiani e l'istituto di via Paravia è attualmente la struttura milanese più multietnica.
A tutto questo, si collega anche il tema dell'integrazione…
L'integrazione è un argomento attuale ed è importante parlarne, anche attraverso la testimonianza di personaggi famosi. Pochi lo sanno, ma Aldo, componente del famoso trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo (che domani saranno ospiti, insieme all'ex giocatore di basket Dino Meneghin, del programma di Calabresi, ndr.), quando era piccolo ha cambiato scuola ben cinque volte, perché non riusciva a integrarsi. Successivamente, l'integrazione è diventata il filo conduttore della loro comicità e dei loro sketch. Aldo non aveva il problema di essere straniero, ma quello di essere un ragazzo siciliano, che viveva in una realtà diversa rispetto a quella in cui era nato. Oggi i tempi sono cambiati, ma la problematica dell'integrazione è rimasta fondamentale.
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