Cultura e Spettacoli
Lunedì 13 Giugno 2011
"Io, scienziata con la valigia pronta"
Comasca, 27 anni, dopo Parigi "prenotata" dagli Usa: "Ma vorrei lavorare in Italia"
"...come in una detective-story, […] il chimico deve risolvere un caso misterioso…" questa frase di Calvino nell'introduzione a "L'altrui mestiere" di Primo Levi, l'autore di "Se questo è un uomo", mi pare riassuma il senso di quello che la chimica è stata per me in questi anni.
Sono Erica Benedetti, nata a Como il 22 settembre del 1984. Dopo aver frequentato il liceo scientifico «Galileo Galilei» di Erba, mi sono iscritta all'Università degli Studi dell'Insubria, sede di Como, al corso di laurea in Scienze Chimiche. L'Università di Como è piccola, poco conosciuta, ma con docenti che sanno infondere la passione e l'amore per la ricerca, il gusto di scoprire e provare a risolvere quel "caso misterioso". Nel luglio del 2008 mi sono laureata con 110 e lode, con una tesi sulle reazioni di metatesi e di Pauson-Khand. Il fascino della ricerca mi ha portato a tentare il concorso e a ottenere una borsa di studio per il dottorato di ricerca in Chimica Organica in co-tutela con la Francia. Con mia grande gioia mi è stata data l'occasione di lavorare un anno e mezzo a Parigi, presso l'Università Pierre et Marie Curie, in uno dei migliori gruppi di ricerca francesi. È stata un'esperienza unica e coinvolgente. Ho lavorato con ragazzi, oltre che francesi, provenienti da tutto il mondo, Cina, Germania, Canada, Spagna… ho avuto la possibilità di confrontarmi con loro, di scoprire nuove culture e nuovi modi di approcciarsi alla ricerca. Ho condiviso la voglia di lavorare per un obiettivo comune. Tutto ciò mi ha arricchito enormemente, sicuramente dal punto di vista scientifico, ma anche umano.
Proprio in questi giorni il professore che mi ha seguito a Parigi è intervenuto a Como per un ciclo di conferenze, concretizzando il nostro progetto in un'ottica di collaborazione internazionale. In Francia ho conosciuto una professoressa americana, che mi ha invitato a continuare il mio lavoro presso l'università di Pittsburgh, offrendomi una borsa "post-doc" (post dottorato) nella sua équipe. A partire da gennaio sarò dunque negli Stati Uniti, felice di questa opportunità. Mi piacerebbe poter, un domani, tornare in Italia con il mio bagaglio culturale e scientifico e continuare a fare ricerca, anche con i professori che fin dall'inizio hanno creduto in me. Purtroppo attualmente le possibilità di lavorare in Italia nell'ambito della ricerca scientifica sono poche, i finanziamenti e gli incentivi a disposizione sempre più limitati. Il reclutamento dei giovani ricercatori, in Italia, dovrebbe basarsi su percorsi trasparenti capaci di premiare il merito. Noi giovani, invece, ci troviamo spesso ad affrontare lunghi periodi di precariato mal retribuito. All'estero la situazione è differente, i ragazzi sono supportati nel loro percorso universitario, hanno maggiori possibilità di carriera e fondi che permettono loro una migliore qualità di lavoro. A mio parere, oggi l'università italiana è in difficoltà sul terreno della competitività, sembra aver perso la consapevolezza del proprio ruolo nella società, nel sistema formativo, nel tessuto produttivo e conseguentemente del proprio valore e della propria visibilità. Tutto ciò provoca quello che viene definito "la fuga dei cervelli", che coinvolge un'intera generazione di ricercatori. Di questo non si parla abbastanza. La nostra classe politica sembra dare poco peso al problema o lo affronta solo durante le campagne elettorali, dimenticandosene subito dopo. Anche io, come molti altri giovani con un alto livello di istruzione, mi sento quasi costretta a passare la mia vita all'estero per poter svolgere il lavoro che amo. Vorrei vivere la nuova esperienza negli Stati Uniti, con la serenità di avere, poi, un futuro anche nel mio Paese. Mi sento di ringraziare particolarmente i professori dell'Università degli Studi dell'Insubria che mi seguono e mi motivano nel continuare il percorso che ho intrapreso.
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