Cultura e Spettacoli
Martedì 21 Giugno 2011
I Mantero, padre e figlio
uniti dal progetto di città
Si intitola "Mantero, cent'anni di architettura", la mostra a cura di D. Mantero e di J. A. Savoia, allestita fino al 7 luglio nello Spazio Antonio Ratti (ex San Francesco)
Gianni ed Enrico Mantero, padre e figlio, due generazioni a confronto in cent'anni di architettura, come recita il titolo della mostra allo Spazio Ratti, ex S.Francesco. Due persone diverse, anche se affiatate da un forte vincolo affettivo. E peraltro con in comune un incontro determinante per le loro vite, oltre che per l'attività professionale, quello con Giuseppe Terragni. Gianni conobbe l'uomo del destino quando aveva già esordito con l'ornatissimo neogotico delle seterie Mantero in via Volta e con l'elegante misura eclettica del palazzo Barazzoni, all'angolo fra via Garibaldi e viale Varese. Due progetti di elaborata raffinatezza stilistica, rifiniti con una cura meticolosa. Ma poi Terragni lo chiama nel 1927 a far parte della commissione che deve valutare il Novocomum, bersagliato dalle polemiche per aver contravvenuto alle regole della commissione comunale per l'edilizia. E lui, affascinato dall' estro e dall'energia del più giovane collega, adotta gli strumenti della scuola razionalista quando gli viene commissionato il progetto della nuova sede della Canottieri Lario, a due passi del Novocomum. Affronta il compito con la sua consueta serietà e ne esce un capolavoro, tanto da condurlo alla realizzazione della Casa del Balilla e al rifacimento dello Stadio Sinigaglia, nella stessa area a lago che assurge così alla complementarietà di un vero e proprio sistema urbanistico. Un altro convincente esempio di applicazione delle regole razionaliste è la villa Pirovano, oggi sede bancaria, in via Sant'Elia. Ma la misura architettonica che gli è più congeniale è il Novecentismo, secondo la lezione di Muzio al Politecnico: un richiamo alla classicità filtrato dalla sensibilità moderna che condensa elementi evocativi riordinandoli in una nuova formula di semplificazione. Ne è un significativo esempio la sede dei Magazzini Mantovani in via Plinio, ma anche una serie di ville, di edifici abitativi allineati secondo una solida concezione costruttiva e un senso ammirevole della dignità e del "decoro" borghese.
Enrico cresce in questo ambiente famigliare culturalmente elevato, ne assorbe le motivazioni di alta capacità professionale, ma nello scegliere la tesi di laurea in architettura s'imbatte non a caso, studiando con Rogers, nell'opera emblematica di Terragni e, frugando nell'archivio degli eredi, ne riscopre non solo il messaggio profetico, ma l'inquietudine umana e la lotta contro l'incomprensione, la sordità altrui per affermarsi. La tesi rileva anche le contraddizioni che nel breve arco della sua esistenza hanno segnato la ricerca di Terragni, l'intenzione non soddisfatta di allargare il concetto di architettura individuale a quello dell'esigenza collettiva, di abbracciare in ogni opera l'ambiente circostante e quindi di dare un indirizzo preciso all'intera città.
Tutto il suo lavoro in seguito e, ancora di più, il contenuto del suo insegnamento al Politecnico, insegue questa vocazione di alta idealità sociale, con un adattamento progressivo dei principi razionalisti in forme adeguate all'incalzare del tempo ma con una fedeltà costante ai modelli del Movimento Moderno, sia pure reinterpretati, anche quando collabora con il padre per alcune costruzioni con un passaggio simbolico di testimone. Molti sono i suoi esiti che coniugano la funzionalità con una linea monumentale ricca di echi allegorici, specialmente in alcune sedi scolastiche, come rileva acutamente un saggio di Daniele Vitale che conclude il corposo catalogo curato da Jessica Anaïs Savoia. Ma certo non è senza rilievo il fatto che il suo progetto più importante per libero impegno e suggestività espressiva, accogliendo l'incrocio di più elementi culturali, sia quello della Casa sul Bosforo. Non realizzato. Lontano, per una volta, dal territorio lariano, la cornice della sua attività di architetto, il luogo della sua crescita e della sua esemplificazione "ex cathedra" per i tanti comaschi che l'hanno potuta apprendere. Oggi la mostra nel salone espositivo, allestita in seguito ad un riordino d'archivio davvero lodevole, documenta quanto abbia inciso l'operatività di Gianni ed Enrico Mantero soprattutto nell'ambito cittadino. Un prezioso lascito, un ampio percorso nella storia di Como, compiuto anche in compagnia di alcuni giovani artisti che, in vario modo, fanno da corredo alla mostra ispirandosi alle opere dei due Mantero con una serie di rimandi allusivi.
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