Cultura e Spettacoli / Como città
Sabato 16 Luglio 2011
Bragola ed Encof
I folletti del Lario
In un libro tradizioni e leggende raccontano la vita degli strani esserini che aiutavano i valligiani nelle faccende domestiche
E poi streghe e folletti, e luoghi magici e leggende come quelle dello sprofondamento del lago di un paesino che si trovava dove oggi c'è Lenno.
È il ricco, curioso repertorio riportato in un libro da poco ripubblicato da Newton Compton nella collana Tradizioni d'Italia, dal titolo Il grande libro dei misteri della Lombardia risolti e irrisolti scritto, grazie alla collaborazione di alcuni ricercatori, da Federico Crimi, collaboratore del Politecnico di Milano e storico, e Giulio M. Facchetti, docente di linguistica e semiotica all'Università dell'Insubria. Il mondo magico comasco è esplorato, con l'occhio dell'antropologo e dello storico più che con quello del patito di discipline esoteriche, sulla scorta di documenti fra cui spiccano gli scritti di Cesare Cantù e un'inchiesta lariana di epoca napoleonica su «Timori pregiudizi e credenze di alcuni riguardanti le malattie pericolose, le morti, le tumulazioni, le apparizioni de' l'anime de' trapassati, le loro pene».
Tra amuleti e animali fantastici, fuochi fatui e luoghi incantati il libro dedica spazio anche ai folletti: ce n'erano (ce ne sono) a Como, i cosiddetti Encof o Vissinei, mentre in Val Cavargna - che grazie al suo isolamento geografico ha potuto conservare diversi elementi identitari - sono stati repertati i Bragöla e i Pelus di Kongau.
Bragöla, spiega il libro, «è il nome popolare di un folletto attivo nelle faccende quotidiane accanto ai contadini; deriverebbe da "sbraga" che in dialetto locale significa "gridare", "lamentarsi". A causa della sua natura capricciosa non sarebbe infatti difficile farlo infuriare e così costringerlo a sparire».
Ma cos'è un folletto?
L'esserino, si legge, ha caratteristiche iconografiche poco marcate, soprattutto rispetto ai colleghi elfi, gnomi o nani: la sua caratteristica è di essere invisibile.
«È diafano, luminoso, vive in posti reconditi e vola nell'aria: se si presenta come una persona è di bassa statura (bimbo, fanciullo o mezzo uomo), ma rifugge da ogni contatto con gli uomini.
Sicuramente vivace, è di carattere bizzarro, incline allo scherzo, spesso si lascia andare alla burla improvvisa e malvagia», ma «raramente trascende verso l'azione consapevolmente cattiva e scellerata».
Tuttavia ai Bragöla della Val Cavargna (nell'immagine in alto tratta dal sito http://blog.libero.it/KarloftheLake/, ndr) le leggende attribuiscono un rapporto benefico con le popolazioni: i folletti «collaboravano con gli abitanti della valle, soprattutto con le persone che ispiravano loro simpatia, nelle faccende di casa o nei lavori dei campi, in particolare nella mietitura dei prati».
I Bragöla sono descritti come «esseri di piccola statura con lunghe braccia, pelosi, velocissimi ad intrufolarsi ovunque, coperti da pochi abiti a brandelli e con occhi piccoli e sfavillanti. nonostante siano molto bravi a nascondersi tra i cespugli, si scovano facilmente seguendo i borbottii e i bisbigli che continuano ad emettere».
Di animo burlone, amano «nascondersi e poi improvvisamente lanciarsi addosso agli incauti viandanti che si attardano lungo i sentieri verso le loro case, terrorizzandoli». Qualcuno potrebbe anche trovarsi un Bragöla in casa: questi folletti infatti sono soliti intrufolarsi nelle abitazioni per magiare castagne, latte o una fetta di focaccia.
«Sopra il sentiero che conduce a Tavagnago - si legge ancora nel libro - in una zona boscosa, spicca un sasson, un roccione bianco, chiamato Ka di Bragöla che in dialetto significa "casa dei Bragöla".
Di mattino, sugli alberi vicino al roccione, è possibile vedere tanti piccoli rettangolini di stoffa bianca appesi ad asciugare al sole.
Sono i lenzuolini e i pannolini dei Bragölin, i più piccini».
Ma i Bragöla non erano i soli folletti a popolare la Val Cavargna: «Nella stessa valle il mito dei folletti si confondeva con quello dei Pelus di Kongau, esseri pelosi che popolavano il versante occidentale della valle, denominato appunto Kongàu.
Anch'essi aiutavano a falciare l'erba nei campi; alcuni, minoritari, a trovare l'oro.
Sono descritti come «veri e propri uomini dei boschi, villosi e ricoperti di peli di animali, hanno caratteristiche proprie dell'uomo selvaggio e, come questo, pare che siano detentori di un bagaglio sapienziale discontinuamente tramandato all'uomo» che aiutano a tagliare l'erba sui pendii più scoscesi e accidentati.
Barbara Faverio
Il grande libro dei misteri della Lombardia risolti e irrisolti, Federico Crimi e Giulio M. Facchetti, Newton Compton, 430 pag., 9,90 euro.
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