
Cultura e Spettacoli
Domenica 02 Ottobre 2011
Quasimodo e Curzia
L'amore in riva al lago
La studiosa di letteratura slava, che visse con il poeta una travolgente passione, ricorda il legame sentimentale con Como: "Ci facevamo portare in taxi a un bar che amava, in piazza Cavour". Sull'edizione di "La Provincia di Como" in edicola il 2 ottobre anche le poesie scritte da Quasimodo nelle trasferte amorose lariane e altri due preziosi contributi di cultura locale, firmati da Fulvio Panzeri e Tiziano Casartelli.
«A Como venivamo talvolta a bere il caffè. Decideva tutto lui, il Poeta. Chiamava un taxi e da Milano ci faceva portare ad un bar che amava, in faccia al lago, in piazza Cavour. Beveva (solo whisky, un rito!) e parlava nervosamente, ma a tratti aveva slanci di grande tenerezza», racconta Curzia Ferrari e si capisce che il Poeta, Salvatore Quasimodo, un uomo che non amava mezze misure, nella vita come nell'amore, è ancora un protagonista della fantasia e del cuore.
Lei, una giornalista all'inizio di una prestigiosa e lunga carriera letteraria di slavista (bellissima, tra le altre, la recente traduzione delle poesie di Anna Achmatova, "Il bacio dell'icona", edito da Àncora), di saggista letteraria e d'arte, oltre che di poetessa (da ricordare almeno la raccolta "Lucertola", 2011, edita da Aragno). Lui, già celebre in tutto il mondo e fresco "laureato" col Nobel per la poesia nel 1959, al quale si era legata giovanissima, nel '63, fino ed oltre la sua morte, avvenuta nel giugno del '68, affrontando e superando non poche difficoltà. Una storia nata "per colpa" dei libri, della passione letteraria: aveva infatti da poco pubblicato il suo primo libro, "D'Annunzio e la fede", che era molto piaciuto a Quasimodo, il quale perciò aveva voluto conoscerla. Quasi trent'anni di differenza tra i due. Non pochi.
Ma questo non aveva impedito alla loro liaison di farsi presto intensissima, travolgente, anche se all'inizio accettata e vissuta da lei con molta cautela, benché Quasimodo fosse assieme a Majakovskij il poeta delle sue assolute predilezioni giovanili. Convenzioni sociali, responsabilità differenti: comprensibili tremori, anche («Non ti bastava il corpo - / volevi la mia mente», si difende ancora la donna, nel ricordo anche delle sue ingiustificate e aspre gelosie, in "Andante per un poeta" della raccolta Lucertola). «Devo confessare di non aver provato una grande emozione quando lo conobbi nel marzo del '63, e di non essere sobbalzata alle sue telefonate successive al nostro incontro», confida ancora la scrittrice, aggiungendo subito dopo che le cose ebbero presto una svolta imprevedibile: «Le cose cambiarono allorché l'uomo prese il posto del poeta, e fece irruzione nella mia quotidianità con la sua dirompente prepotenza».
Una "prepotenza", però, solo apparentemente "dirompente": in realtà, la maschera di una straziante fragilità, che nell'amore cercava conforto e ricompensa dalla vita. Una fragilità vissuta in lancinante e dignitosa solitudine («non sono / in pace con me, ma non aspetto / perdono da nessuno», aveva ammesso in una straordinaria "Lettera alla madre", che tutti conosciamo e che si può leggere in "La vita non è sogno" del '49). «Mi diceva di aver bisogno di ossigeno. Era stanco, vulnerabile. Irritato sempre, contro le ombre che offuscavano la sua mente», continua Curzia e subito si disegnano alla mente i versi a Lui dedicati in "Andante per un poeta", in cui ricordi ed emozioni formano un tutt'uno di struggente nettezza che gli anni non possono cancellare («Oh fragile! O amato! Sciolte le carni, dal tempo / erosa / la tua memoria cupa di vampiro, / ti cullo con dolcezza nell'ora che veloce si restringe / a sanzionare le offese, i desideri, i baci»).
Ma torniamo a Como, dove Curzia nel tempo c'è venuta in seguito molte volte, in occasione di mostre o di premi, ricevuti (nel '79, il "Lario-Cadorago") o assegnati, come domenica scorsa, 25 settembre, dove a Brunate è intervenuta in qualità di Presidente dalla Giuria del Premio intitolato ad Alda Merini.
Visite rapide, brevissime, quelle dei due innamorati, in riva al lago, col taxista pronto a riportarli a Milano. Par di vederlo, il Poeta, nello stesso testo appena ricordato, seduto dinanzi al bar Monti assieme alla sua giovane e affascinate compagna, a rimuginare su sospetti e fantasmi in una nuvola di fumo ma anche pronto a lasciarsi visitare qui o altrove da immagini di poesia per fissarle su foglietti che ogni tanto ancora riemergono: «Fra sigarette e whisky / nato e concluso per rabbia ogni tuo gesto / nello schizzo di un lampo», ricorda Curzia, ripensando a quelle scene in un misto di rimpianto e disappunto come a riprova dell'attitudine "tragica" e distruttiva del Poeta.
Versi a lei dedicati con dediche struggenti dal poeta che giunge a firmarsi, come fa nel luglio del '63 su una copia delle mondadoriane "Tutte le poesie", «il Salvatore sempre da salvatore» professandole un'«amicizia non dannunziana, né romantica, ma siculo-greca», che è tutto un programma. Versi come quelli, pressoché inediti, risalenti all'agosto del '67 («Mi chiedi parole. Ma il tempo / precipita come un masso sulla mia anima / che vuole certezze, e più non ha sillabe / da offrire se non quelle silenziose / del sangue legate al tuo nome, / o mia vita, mio amore, mio amore senza fine»); o questi altri di "Poesia d'amore", datati 1965 («Il vento vacilla esaltato e porta / foglie sugli alberi del Parco, / l'erba è già intorno / alle mura del Castello, i barconi / di sabbia filano sul Naviglio Grande. / Irritante, scardinato, è un giorno / che torna dal gelo come un altro, / procede, vuole. Ma ci sei tu e non hai limiti: / violenta allora l'immobile morte / e prepara il nostro letto di vivi»); o ancora questi, sempre dello spesso anno, sotto il titolo "Il silenzio non m'inganna" («Distorto il battito della campana di San Simpliciano / si raccoglie sui vetri della mia finestra. /…/ Il silenzio non m'inganna, la formula / è vuota. Ciò che deve venire è già qui / e se non fosse per te, amore, / il futuro avrebbe quell'eco / che non voglio ascoltare, ma che vibra / sicuro come un insetto della terra»; o, infine, i versi di "Che breve notte" («Che breve notte, amore. Un raggio / di luce è già sulla tua fronte, / nei tuoi capelli di madonna bizantina: /…/ Riconosco il fanciullo che sul Bosforo di Sicilia / gettava la sua solitudine di isolano / isolato. Ma tu ti svegli, bellissima. / Bruna e bruciante mi svegli / a nuova vertigine; scavato d'ansie e di sangue / trascini nel buio…»).
Una considerazione per concludere, di fronte ai tre versi con cui il poeta fissa la sua donna: "bellissima", "bruna e bruciante". Soprattutto, "bruna e bruciante": come non sorprendersi nel ritrovare questo stesso sintagma in una lettera del 28 maggio 1965 («Tu bruna e bruciante nell'attesa guardi questo mio silenzio da una terra lontanissima»), dove la figura della donna si aureola di forza ed essenzialità tra ricordi letterari e inesprimibili nostalgie?
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