Cultura e Spettacoli
Sabato 08 Ottobre 2011
Se la crisi fa paura
è tutta colpa nostra
David Ropeik, ricercatore ad Harvard, spiega che i timori quotidiani e quelli globali nascono da un'errata percezione dei rischi. Maggiore autocontrollo aiuterebbe ad affrontare con successo tanti problemi... Abbiamo incontrato lo studioso a Bergamoscienza. Guarda i video e le notizie sul sito del più importante festival scientifico italiano.
Spesso siamo più spaventati da un pericolo piccolo o ingiustificato piuttosto che da un rischio più grande e reale. Un esempio di paura irrazionale è che statisticamente sono molte di più le persone che hanno più paura di un attentato terroristico in aereo rispetto all'insorgenza di un cancro, quando la probabilità di morire per un tumore è decisamente maggiore rispetto a quella per un attentato. Per fare un altro esempio, l'antrace è un pericolo pressoché nullo ma fa molta più paura rispetto all'influenza che ogni anno uccide centinaia di persone. Al festival Bergamo Scienza in corso fino a domenica 16 (www.bergamoscienza.it) è stato affrontato questo tema in una discussione condotta da David Ropeik.
Ropeik, scrittore e reporter televisivo nonché ricercatore del Center for Risk Analysis dell'università di Harvard, è autore di "How Risky Is It, Really? Why our fears don't always match the facts", in cui si parla di paura e di percezione irrazionale del rischio, e sul perché si tende ad avere molta paura di piccoli pericoli e non siamo invece spaventati da quelli più grandi. Perché dunque la nostra percezione del rischio spesso non è giustificata dai fatti? Cosa significa questo per la nostra vita quotidiana? E quali effetti produce questa errata percezione sulla nostra salute e sulla società? Ci sono diverse opinioni comuni sulla percezione della sicurezza: in generale tendiamo a esagerare i rischi spettacolari, rari, improvvisi, che non si conoscono, mentre vengono sottovalutati rischi ovvi, comuni, ben conosciuti e che evolvono lentamente nel tempo. Una delle variabili che risulta maggiormente determinante è il quanto si parla di un determinato rischio, quanto i media lo riportano. Tanto è maggiore la copertura mediatica tanto maggiore appare il pericolo e più la prospettiva descritta è orribile, più ci spaventa. Il risultato è un comportamento illogico come dimostra un altro esempio: l'ansia da straniero che ci viene instillata spesso tramite messaggi totalmente fuorvianti ma in grado di risvegliare sensazioni percettive che ricordavamo. Ciò che invece non vediamo o non sentiamo tramite i media non viene percepito come un rischio davvero reale, ma lontano che quindi non spaventa più di tanto.
Secondo Ropeik, il rischio è il risultato della somma di ragione e istinto, fatti reali e sensazioni. Questi fattori determinano il cosiddetto "perception gap", la distanza tra le percezioni e il rischio reale. Quindi il primo passo deve essere quello di capire perché a volte abbiamo paura di pericoli piccoli e non siamo invece spaventati da altri più rilevanti così da considerare il rischio con maggiore attenzione.
Ropeik ci ricorda che anche la tecnologia è una componente importante perché si tende a pensare possa garantire la sicurezza in modo diretto e automatico e a cui si tende quindi ad affidarsi più del dovuto, aspetto che naturalmente è invece da ponderare con attenzione.
Insomma le nostre paure sono spesso irrazionali: sentiamo intorno a noi pericoli che riteniamo minacciosi e a cui reagiamo con terrore ed ansia solo per un errata percezione mentre non reagiamo e non ci preoccupiamo per rischi significativamente maggiori con cui magari veniamo a contatto ogni giorno ma che sono meno percepibili secondo gli standard che abbiamo imparato ad utilizzare nei confronti del rischio.
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