Cultura e Spettacoli
Mercoledì 04 Gennaio 2012
Han, il re dei falsari
che si finse Vermeer
La falsificazione delle opere d'arte, spesso riprodotte con ottima fattura, è un fenomeno molto diffuso in Italia. L'avvento dell'e-commerce - la vendita on line - ha reso il lavoro di ricettatori e falsari più agevole: nel corso del 2011 sono stati oltre 5 mila i falsi sequestrati (di cui 3.987 d'arte contemporanea), per una stima economica di circa 54 milioni di euro. Ma sempre i falsi sono peggiori degli originali? Lo scrittore e artista Chiappori rievoca la straordinaria vicenda di Han van Meegren.
<+G_SQUARE><+G_TONDO>Poco tempo dopo la liberazione dell'Olanda, nel maggio del 1945, la polizia olandese arrestò il pittore Han van Meegeren, con l'accusa di aver collaborato con i nazisti durante l'occupazione tedesca. In particolare, lo si incolpava di aver venduto al feldmaresciallo Hermann Goering un dipinto di Vermeer, "La Maddalena che lava i piedi a Gesù", considerato un tesoro della nazione.
Due mesi dopo, per evitare una dura condanna, van Meegeren fece una confessione sensazionale: la Maddalena non era opera di Vermeer, ma un falso realizzato da lui stesso. Goering aveva pagato come buona quella che era soltanto un'abile contraffazione. Van Meegeren confessò inoltre di aver falsificato anche opere di Frans Hals, di Pieter de Hooch e almeno cinque Vermeer, tra i quali la famosissima "Cena in Emmaus", acquistato poco prima della guerra dal Museo Boymans di Rotterdam per una cifra astronomica.
Di fronte a questa confessione, il mondo internazionale dell'arte reagì ostentando una generale incredulità. La "Cena in Emmaus", subito dopo la sua scoperta, era diventata uno dei dipinti più celebri del mondo. Esperti d'arte, direttori di musei e i collezionisti più importanti non credevano che un artista mediocre e pressoché sconosciuto come van Meegeren fosse in grado di falsificare un Vermeer tanto sapientemente da trarre in inganno specialisti di provata esperienza. Allora van Meegeren, non senza orgoglio, sfidò chi metteva in dubbio la sua parola, dichiarando di essere pronto a dipingere, sotto controllo della polizia, un altro Vermeer, un "Gesù nel Tempio". L'accusa di collaborazionismo venne meno, ma van Meegeren doveva a questo punto difendersi dall'accusa di aver tratto guadagno vendendo dipinti falsi.
Nel frattempo, storici dell'arte ed esperti analisti sottoposero i Vermeer, indicati da van Meegeren come opera sua, a esami molto scrupolosi: spettrografie, analisi microchimiche dei colori, stratigrafie, fotografie ai raggi X. Dopo alcuni mesi giunsero alla conclusione unanime che i dipinti erano sicuramente opera sua, realizzati in anni recenti e invecchiati artificialmente. Tra le prove portate dagli esperti, c'erano delle spettrografie che rivelavano, senz'ombra di dubbio, l'origine moderna della "Cena in Emmaus": oltre al blu oltremare vi era anche il blu cobalto, un colore che Vermeer non avrebbe potuto usare, per la semplice ragione che si tratta di un colore prodotto soltanto a partire dall'Ottocento.
Durante il processo, mentre il mondo dell'arte si chiedeva se van Meegeren dovesse considerarsi un semplice imitatore di Vermeer, oppure un artista di genio in grado di beffare critici ed esperti, il falsario dichiarò che i Vermeer da lui dipinti erano la sua personale vendetta contro il mondo ufficiale dell'arte, che l'aveva sempre considerato un pittore privo di originalità e talento.
In effetti, se van Meegeren era un artista mediocre, impotente nell'esprimersi in un linguaggio moderno, era riuscto a essere un creatore immedesimandosi nel linguaggio di un maestro del passato. Van Meegeren morì un mese dopo la sentenza che lo condannava a un anno di carcere. Dopo la sua morte, però, furono fatti molti tentativi per negargli l'indubbia capacità di dipingere come Vermeer. Per esempio, un ricco collezionista olandese che aveva contribuito all'acquisto, per il Boymans Museum di Rotterdam, della "Cena in Emmaus", e aveva acquistato per la propria collezione l'"Ultima Cena", pagandola una somma enorme, tentò di provare che questi due quadri non erano di van Meegeren, ma due Vermeer autentici. Il collezionista, che si chiamava van Beuningen, cercò in tutti i modi di screditare le perizie realizzate durante il processo. Ma, purtroppo per lui, una fotografia ai raggi X dimostrava che l'"Ultima Cena" da lui acquistata era stata dipinta sopra una tela del Settecento, raffigurante una scena di caccia. Per un puro caso saltò fuori la fotografia di questo dipinto com'era in origine, e il mercante che l'aveva avuto in possesso dichiarò di averlo venduto nel 1940 a van Meegeren.
Ingannare gli esperti con le falsificazioni e le imitazioni è una pratica antica. Le truffe nel campo dell'arte esistono probabilmente da quando gli artisti hanno cominciato a firmare le loro opere. Il problema dell'attribuzione, cioè stabilire se un'opera d'arte sia autentica o falsa, è pertanto un problema molto serio, specialmente per gli studiosi, i responsabili dei musei e i collezionisti.
Dire che un'opera è autentica solo quando si tratta di un'opera autografa di un determinato artista parrebbe un criterio valido. Ma non sempre funziona. Per esempio, è noto che Giorgio De Chirico, intorno agli anni Sessanta, dipingeva quadri firmandoli e retrodatandoli di alcuni decenni, come se fossero statirealizzati nel periodo metafisico, vale a dire nel secondo decennio del Novecento. Siccome i quadri di questo periodo valgono molto di più di quelli dipinti successivamente, è evidente l'intenzione di De Chirico d'ingannare mercanti, collezionisti e critici d'arte per ricavarne un profitto illecito. Questo è un esempio di come un'opera autografa possa essere contemporaneamente falsa.
Di esempi se ne possono fare tanti, a partire dall'arte antica. Il sommo Fidia, volendo aiutare il suo allievo Agoracito a vendere una sua statua di Afrodite, non esitò a firmarla con il proprio nome; realizzando, di fatto, un falso Fidia, anche se la sua firma era autentica. Si racconta che lo stesso Apelle abbia firmato e messo in vendita opere eseguite da allievi. Per secoli i grandi maestri hanno dato il loro nome a opere eseguite da altri. Ingres autografò una copia di un proprio dipinto eseguito da un allievo. Anche Corot era ben noto per questa deplorevole abitudine. E si potrebbe continuare a lungo. Una volta, un'importante casa d'aste londinese stava per mettere in vendita un lotto di dipinti di Walter Richard Sickert, quando un esperto avanzò dubbi sulla loro autenticità. La casa d'aste allora chiamò il maestro e gli sottopose le opere per un responso. Sickert disse subito: «No, non sono quadri miei, ma chi li ha dipinti è di sicuro un artista eccellente». D'altronde, Pablo Picasso disse a un giornalista: «Se vedessi un mio falso davvero buono, ne sarei contento. Prenderei subito il pennello e lo firmerei».
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Secondo Aristotele, ogni arte è imitazione. Da questo punto di vista, ci sono artisti che imitano la natura, altri che imitano l'arte. Ma sono tutti imitatori. I falsari, quelli bravi, sono artisti che imitano l'arte di altri. Il caso di van Meegeren è esemplare. Ma si può dire che, senza ombra di dubbio, non c'è artista importante che non abbia i suoi falsi.
Tutta la storia dell'arte, da quella antica a quellas medievale, da quella moderna a quella contemporanea, è anche una storia di falsificazioni. Per concludere, è bene ricordare quel che dice lo storico dell'arte tedesco Friedrich Winkler: «Per affermare la propria capacità di distinguere ciò che è autentico, il miglior esercisio è imparare a riconoscere ciò che è falso».
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