Cultura e Spettacoli
Domenica 08 Gennaio 2012
Un'imboscata sul Bisbino
svelata dopo 67 annni
La straordinaria testimonianza dell'architetto Guglielmo Mozzoni, marito di Giulia Mozzoni Crespi, la fondatrice del Fai, ricostruisce un frammento di storia transfrontaliera di grande interesse.
«La mia vita salvata con 15 mila franchi svizzeri». Così, a distanza di 68 anni emerge una storia di confine vissuta da un ufficiale lombardo, il tenente Guglielmo Mozzoni, impegnato dopo l'8 settembre 1943 tra Lugano e il territorio comasco con funzioni di collegamento tra le rappresentanze degli alleati presenti in territorio svizzero e le formazioni partigiane operanti sul versante italiano tra il Bisbino e la Valle d'Intelvi, compresi i boschi tra Campione d'Italia, Santa Margherita Valsolda, Claino con Osteno e il Porlezzese.
Mozzoni, architetto di professione, nato a Milano, cresciuto a Varese nella villa paterna di Biumo Superiore, è marito di Giulia Maria Crespi, presidente onorario del Fai. Prossimo al 97esimo compleanno, insieme all'amico Franco Giannantoni, giornalista e ricercatore di storia contemporanea, ha deciso di raccontare la sua avventura nel periodo compreso tra il 25 luglio 1943, data di caduta del fascismo, e il 30 aprile 1945 quando a conflitto ormai concluso è stato paracadutato sul prato di San Siro con la "Missione Vincent" della "Special Force". I cimeli di quest'evento sono esposti al Museo del Risorgimento a Milano.
Esponente di una delle più prestigiose famiglie della nobiltà lombarda, giovane liberale, Mozzoni non ha mai avuto riconoscimenti pubblici per le sue imprese, eppure proprio sul Bisbino in una freddissima giornata d'inverno è stato catturato da una banda fascista e condannato, senza processo, alla fucilazione.
A salvargli la vita è stato uno stratagemma al quale l'intraprendente ufficiale ha fatto ricorso, secondato da un personaggio svizzero passato alla storia, Guido Bustelli, responsabile dei servizi segreti della Confederazione per la zona di Lugano. Il baratto, fortunosamente intavolato, è avvenuto per un corrispettivo in franchi svizzeri di tre milioni di lire e lo scambio è stato attuato proprio sulla linea di confine con banconote tagliate a metà. A quel tesoretto, secondo un documento depositato negli archivi dell'Istituto nazionale di storia del movimento di Liberazione a Milano, corrispondeva la taglia che i fascisti avevano posto sulla testa del protagonista di avventurosi passaggi del confine, una volta addirittura appeso a una teleferica usata per il trasferimento delle fascine a valle.
«Il 21 gennaio 1945 - ricorda Guglielmo Mozzoni, nonostante l'età dotato di una memoria di ferro - ero a Lugano e Guido Bustelli mi aveva affidato un incarico importante, portare subito a Milano l'elenco delle guardie del carcere di San Vittore disposte a disertare e collaborare a un piano per far evadere detenuti appartenenti alla Resistenza. Il viaggio era stato programmato per il giorno successivo e Bustelli aveva ideato il passaggio dal villaggio ticinese di Bruzella, su fino al crinale per poi scendere a mia scelta a Cernobbio oppure a Moltrasio. Con me ci sarebbero stati un giovane che conosceva bene i luoghi di nome Sandrino e un tale Giuseppe Glisenti alias Giovanni Fanetti corriere del Clnai di Lugano. Era l'alba quando arrivati in prossimità del Bugone, dopo essere passati dalla casermetta Murelli presidiata da una brigata comunista comandata da un certo Orazio, ovvero Giovanni Costa, eravamo stati bloccati da una pattuglia in grigioverde composta da uomini che portavano il distintivo dei partigiani della Grigna e tra loro avevo riconosciuto proprio Orazio. Avevo tirato un sospiro di sollievo indirizzandomi a lui, ma questi senza rispondere al saluto aveva abbassato gli occhi. Un altro, invece aveva impartito l'ordine di legarci. In realtà Orazio aveva tradito e il gruppo travestito da partigiani altro non era che una formazione fascista appartenente alla banda Tucci, alias Emilio Poggi». Una volta portato alla casermetta Murelli, Mozzoni aveva fatto ai capi della banda una proposta, scambio tra la libertà dei tre prigionieri con un corrispettivo in franchi svizzeri pari alla taglia pendente sulla sua testa e un salvacondotto per trovare accoglienza in Svizzera, familiari compresi, in un momento in cui tutto lasciava presagire la sconfitta del nazifascismo. Un colpo di fortuna aveva fatto si che la proposta venisse accettata e l'ultimo atto era stato quello di mandare Glisenti e Sandrino a Lugano a prendere i soldi. Un viaggio lungo e faticoso per quei tempi che tuttavia era andato a buon fine. Guido Bustelli, grazie alla disponibilità del console Usa a Lugano, James Christy Bell, aveva racimolato la somma con banconote tagliate a metà.
«La consegna dell'altra metà - prosegue il racconto di Guglielmo Mozzoni - sarebbe avvenuta al confine nel momento dello scambio. L'operazione aveva imboccato la strada giusta e, una volta liberato, il giorno successivo ero passato di nuovo in Italia per altri sentieri in modo da consegnare a Milano quell'elenco che per tutto il tempo della vicenda avevo meticolosamente conservato e gli altri, ingolositi dai soldi, non si erano preoccupati di cercare».
Altre sono le imprese di Guglielmo Mozzoni in terra comasca rivolte a trafugare da Svizzera a Italia carichi di armi, tra i quali grosse partite di mitra allora modernissimi del tipo Hispano-Suiza della ditta Buhrle di Carlikon. Franco Gannantoni, che ha raccolto la memoria dell'ufficiale, fa presente che il governo federale aveva posto l'embargo sul loro commercio, ma l'Oss (Office of strategie services) era riuscito in violazione delle leggi della stessa neutralità elvetica a ottenere una ragguardevole dotazione. Il direttore Donald Pryce Jones una volta ricevuti i carichi era solito riporli in luoghi sicuri del consolato Usa di via San Salvatore a Paradiso e secondo le occorrenze e la disponibilità le armi venivano distribuite attraverso i corrieri del Clnai (Comitato di liberazione nazionale Alta Italia). Il tenente Mozzoni aveva compiuto diverse missioni. Da Lugano in macchina era solito raggiungere Melide e Campione per poi proseguire verso Santa Margherita e risalire il versante a poca distanza dalla linea della funicolare per Lanzo d'Intelvi. Li c'erano formazioni partigiane pronte a prendere le armi in consegna.
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