Como e il Ventennio,
legami scritti sulle pietre

Aquile romane che artigliano fasci littori, ma anche architettute con "buchi" dovuti all'asportazione di simboli fascisti. La zona tra Hangar e stadio racconta un passato legato a doppio filo sia con l'estetica razionalista, sia con fascismo e antifascismo. E poi c'è quel mistero dei nomi cancellati nella cripta del Monumento ai caduti. Perché? Viaggio in una città molto meno nota di quanto si pensi. Guarda la fotogallery di Carlo Pozzoni e il video in cui parla l'autore dell'articolo.

di Maurizio Casarola*

Simboli e fregi del fascismo cancellati, rimossi, oppure travisati, altre testimonianze di quel passato rimaste intatte. Passeggiando per i quartieri di chiara impronta razionalista immediatamente a ridosso del centro storico, ci si può rendere conto di quanto la nostra città testimoni ancora oggi, attraverso i segni rimasti sugli edifici, della sua vocazione ad essere stata fascistissima Ecco come si poteva definire Como; usando uno di quei superlativi assoluti in voga nel ventennio.
Il capoluogo lariano venne eletto fra le città simbolo del duce, anche per la massiccia presenza di artisti, ingegneri, architetti, nati e operanti in città, che si prodigarono a progettare e realizzare opere stupefacenti per bellezza, praticità e ingegno nel contempo. L'ingegno non mancò di sicuro a Gianni Mantero (1897-1985), che realizzando la "Piscina Giuseppe Sinigaglia", perpetuò la figura di Mussolini con quel gioco di luci e riflessi dei raggi solari fra la vetrata il trampolino e la vasca formanti una enorme "M" sullo specchio d'acqua. Altri segni distintivi al fascismo disseminavano tutta l'area intorno alla vasca natatoria, ma vennero rimossi di recente durante l'ultimo restauro terminato nel 2007. Mantero pensò di progettare anche un grande fascio littorio da posizionare dietro alla piattaforma dei tuffi, ma il proposito venne abbandonato e probabilmente sostituito con il lucernario semicircolare che concorre a formare la lettera iniziale del cognome del duce. Pochi metri oltre il palazzo del nuoto, un'aquila romana mantiene la sua posizione in cui era stata messa originariamente sopra l'entrata dell'Opera Nazionale Balilla, mentre le quattro scuri dei fasci del littorio, sulle colonnine della biglietteria vicino all'edificio appena menzionato sono state tolte. Non così nell'entrata dell'altra biglietteria di fronte al Monumento ai Caduti. Lì le quattro scuri stilizzate in marmo scuro sono ancora al loro posto, come le due aquile romane artiglianti i fasci littori sopra le colonne del cancello d'entrata nel lato accanto all'hangar. Singolare ma emblematica, la scelta di intitolare le vie tutto attorno il complesso della cittadella sportiva ai martiri della lotta partigiana.
Il quartiere nato nel ventennio fascista, si trova così "circondato" da strade che portano i nomi di uomini immolatisi per la libertà dal giogo del regime.
Via Giancarlo Puecher che corre dal Monumento ai Caduti fino all'hangar, ricorda il giovanissimo partigiano milanese condannato  e fucilato ad Erba dal giudice Biagio Sallusti, il quale subì la stessa fine a guerra finita. La via Massenzio Masia, che costeggia lo stadio sul lato Coni è intitolata al partigiano dai natali comaschi ucciso dalle camice nere durante le repressioni sugli antifascisti in Emilia Romagna.
Di fronte alla facciata razionalista della ex Casa del Balilla, si apre uno slargo che porta il nome dello studioso bolognese professor Adolfo Vacchi. Antifascista in esilio a Veniano, venne ucciso a Camerlata dai repubblichini in ambiti mai chiariti. Quella stessa piccola via, tange a sua volta il ben più grande viale alberato intitolato ai due fratelli Rosselli, emblematiche figure della Resistenza.
Inoltre, la piccola strada che comincia dalla sede del Coni e si chiude sul marciapiedi di Borgovico, indica il nome del comasco Abbondio Martinelli, fra i fondatori del Partito Popolare Italiano assieme ad Achille Grandi ed in quanto tale, perseguitato dai fascisti. Egli ebbe a che fare con il giovane squadrista Gigi Maino, quando venne da lui malmenato agli  inizi degli anni venti in via Garibaldi. In seguito podestà della città, Maino morì suicida nella baia di New York a bordo del "Rex", la nave mito del fascismo. Lo stesso spiazzo a fronte lago coperto alla visuale dal Monumento ai Caduti, venne usato quale luogo per l'esecuzione capitale del commissario politico fascista Domenico Saletta e del questore Lorenzo Pozzoli.
I due tutori della legge operanti in città durante la Rsi. Insomma, un rincorrersi di fatti e situazioni che hanno avuto la cittadella razionalista, costruita dove una volta c'era solamente innocuo prato, eletta idealmente a luogo simbolico per testimoniare il susseguirsi degli accadimenti storici. Oggi come un tempo, posto ancora frequentatissimo dalla nostra comunità e dai visitatori italiani e stranieri, il quartiere dello stadio conserva nella cripta del Monumento ai Caduti la maggiore testimonianza delle controversie fra le opposte fazioni politiche in guerra. Per poterla vedere basta scendere lungo i gradini interni dello stesso monumento.
Posta sotto la camera del monolite in granito bianco di Alzo, che reca impressi in colore rosso i nomi dei 650 comaschi caduti durante la Grande Guerra, la cripta di primo acchito non desta grande interesse proprio per il fatto d'essere molto spoglia d'arredi. Quattro elementi arredano la sala: due sono le colonne serventi da sostegno al monolite del piano sovrastante, poi un semplice altare ed infine una lastra di marmo grigio cementata al muro, dalla quale si può evincere che una volta vi fossero scolpiti un buon numero di nomi in rosso, come quelli del blocco granitico.
Oggi i nomi non si possono più vedere, sono stati cancellati; abrasi da mano ignota. La tradizione vuole che quelle travisate siano le identità dei caduti di Como nella guerra civile spagnola degli anni 1936/37.
Ma probabilmente bisognerà rivedere questa teoria. Sia nell'angolo superiore destro della lastra, sia nel limite sinistro, due nomi e cognomi riescono ancora ad identificarsi: Beretta Oreste e Albertini Luigi Angelo. Ebbene, questi due signori non risultano essere stati soldati volontari durante la Guerra di Spagna, non avrebbero nemmeno potuto essendo rispettivamente nati nel gennaio del 1922 e nel novembre del 1921. Troppo giovani per potere andare al fronte a soli quindici anni. Oreste Beretta morì certamente da combattente, ma nel  mese di agosto del 1942, affogato in mezzo al mare Mediterraneo a causa dell'affondamento della nave su cui era imbarcato.
La motonave Lerici fu centrata dal sommergibile "Hms Porpoise" mentre portava giovani uomini in Libia dopo essere salpata da Brindisi, nel tentativo di recare aiuto agli altri connazionali in Africa impegnati vanamente a scardinare le difese inglesi nel deserto libico-egiziano.
Beretta, contabile di Ponte Chiasso, scomparve assieme a tanti altri ragazzi fra le onde del mare. Luigi Angelo Albertini morì pochi mesi dopo Beretta. Era un giovane studente di via Cadorna e fece la fine di migliaia di altri giovani nella maledetta spedizione in Russia dell'Armir. Entrambi sono onorati ogni anno durante la Festa della Liberazione, quando le autorità sostano davanti al monumento ai dispersi nella Seconda Guerra Mondiale nel Cimitero Monumentale dove il loro nome non è stato occultato. Vennero tutti e due inghiottiti; il primo dalla neve di Nikolajewka, l'altro dalle acque del Mare Nostrum. Chi ha pensato, che eliminando il nome di questi due ragazzi e dei loro compagni dalla lapide della cripta del Monumento ai Caduti si potesse cancellare la memoria storica, ha avuto torto per l'ennesima volta.          

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