Cultura e Spettacoli
Domenica 15 Gennaio 2012
Ma quante sviste
sull'arte comasca
San Giacomo avrebbe colonne in "cotto" e San Carpoforo sarebbe stato un monastero di suore benedettine. Non sono gli errori di una tesina universitaria, ma svarioni contenuti in saggi prestigiosi, appena editi in costosi volumi sull'arte romanica lombarda. Li abbiamo letti per voi, con l'aiuto di un critico.
Lombardia Romanica è la perla che si aggiunge alla collana "Patrimonio Artistico Italiano" dell'Editoriale Jaca Book. L' impegnativa opera dedica ben due volumi all'arte medioevale dei secoli XI e XII della nostra regione, in seicento pagine costruite su una capillare campagna fotografica che illustra le argomentazioni storico-critiche elaborate in ampie e approfondite schede affidate a sette specialisti, due dei quali, Paolo Piva e Roberto Cassanelli, hanno anche coordinato l'operazione introducendola con due chiari saggi di aggiornamento critico.
La quota più consistente dei volumi tratta di architettura. Minoritario risulta lo spazio dedicato alla scultura, alla pittura e all'oreficeria. I manufatti orafi dell'epoca sono infatti rarissimi, ma di eccezionale importanza; la pittura è conservata in misura limitatissima; maggior campo avrebbe potuto riscuotere la scultura, ma poiché nel Romanico è fortemente subordinata agli edifici (capitelli, portali, finestre) si giustifica il rinvio alle pubblicazioni sui singoli monumenti. Peccato però aver rinunciato a una foto di Porta Torre di Como, fra tante chiese nel Romanico italiano unica architettura civile e militare: di solo militare c'è la foto del Baradello.
Se il cofanetto offre l'immagine paradigmatica dei matronei di S. Ambrogio a Milano, il primo volume dedicato ai grandi cantieri (cattedrali, complessi plebani, santuari) ha in sovracoperta una foto aerea del complesso di S. Pietro al Monte e San Benedetto sopra Civate, riprese come fossero un unico corpo snodato sul pendio a prato. Il secondo volume "Lombardia Romanica. Paesaggi monumentali, organizzato per aree idrografiche", sceglie la foto del San Fedelino di Samolaco sdoppiata a specchio nelle acque del lago di Mezzola. Due immagini emblematiche del paesaggio connotato dall'architettura medioevale con il territorio lariano chiamato direttamente in causa fin dalle scelte di copertina. Ma anche nelle mappe che restituiscono la distribuzione sull'area regionale, la concentrazione di maggior riguardo è proprio quella comasca.
La finalità della collana editoriale di «favorire e promuovere la conoscenza dei luoghi d'arte diffusi nel territorio italiano e dei rispettivi contesti storico-culturali» si attaglia ai lettori del nostro quotidiano che hanno interesse a questi temi. Chi però fosse pronto a tirar subito in ballo i maestri comacini, secondo una diffusa consuetudine nostrana, non si illuda. Qui non si cullano i sogni di gloria del localismo culturale, già nel titolo del saggio di Cassanelli "L'invenzione del romanico lombardo". Da parte sua Piva nel tracciare un profilo del "Romanico lombardo" apre con una inciso sui maestri comacini affermando che «a prescindere dalla documentazione carente, non si tratta appunto più che di un mito». Bandire i luoghi comuni è salutare, quanto riconoscere che la nozione di "romanico lombardo" è un prodotto della storiografia artistica indotta dal clima politico risorgimentale, quando si andava riconoscendo il patrimonio artistico medioevale, s'innescava il processo deleterio del restauro storicistico (che ebbe a Como un caposaldo nel S. Abbondio), si vagheggiava nella nuova architettura un irraggiungibile stile nazionale. Non si può disconoscere che la Lombardia romanica del nuovo libro è ritagliata, per scelte editoriali, dentro i confini amministrativi attuali.
Permane tuttavia un alone di ambiguità quando si afferma che alla "fortunata formula" del "romanico lombardo" qualche tempo fa «si è cercato vanamente di contrapporre» quella di "romanico padano" (Cassanelli, p. 13). Nel libro non si torna più sulla formula perdente, ma quella formula, se riferita alle chiese di pianura, non va contro una realtà costruttiva di ovvia constatazione, se non altro in riferimento ai materiali. L'aggettivo "padano" relativamente a quel Romanico, che dalla bassa Lombardia si estende ad una quota consistente di Emilia, andando a lambire il Piemonte e volendo raggiunge Verona, è uno dei rarissimi casi, insieme con il formaggio grana, in cui trova una consistenza storica e geografica.
Fra i dati incontrovertibili e di più immediata verifica c'è la constatazione che il nord della Lombardia, la fascia prealpina, produce un'architettura in pietra, la fascia padana un'architettura in cotto. Non si capisce come sia stato possibile scrivere dagli estensori delle schede che nel San Giacomo di Como «le colonne della navata sono in cotto e hanno capitelli ad angoli smussati in tutto simili a quelli del S. Abondio» (p. 106). Eppure ben due foto, per di più a colori nelle pagine precedenti, mostrano le colonne in conci di pietra, del tipico grigio di Moltrasio, questo sì esattamente come a S, Abbondio, mentre i capitelli, uguali per struttura, sono molto più eleganti nella chiesa patronale che nel San Giacomo, dove sono sono più spessi e aggettanti.
Nel Medioevo San Carpoforo fu un monastero benedettino maschile, e in età moderna gerolamino, invece nel testo si legge che «nel 1040, durante l'episcopato di Litigerio, vi viene insediato un monastero benedettino femminile». Pochi svarioni non compromettono però il valore di un'opera tanto impegnativa.
(* Critico e storico dell'arte)
© RIPRODUZIONE RISERVATA