L'ateismo fa notizia
Ma pare una parodia

Come si spiega il successo delle teorie del filosofo francese Michel Onfray? Nel solco del pensiero "senza Dio" in Italia si collocano tanti intellettuali, da Paolo Flores d'Arcais a Gianni Vattimo, da Margherita Hack a Piergiorgio Odifreddi. Mattia Mantovani, germanista e specialista in filosofia, analizza il fenomeno, notando quando sia parodistico, se comparato all'approccio di grandi pensatori tormentati, come Dostoevskij. In allegato, un approfondimento per i lettori del sito.

di Mattia Mantovani

Giambattista Vico parlerebbe forse di corsi e ricorsi storici. Sta di fatto che c'è una specie di mal francioso intellettuale che torna e si ripresenta con una ciclicità quasi perfetta, e il cui sintomo più evidente pare rappresentato da un nichilismo gioiosamente snob e festaiolo. Quarant'anni fa furono lo strutturalismo e il nouveau roman, grandi intuizioni intellettuali che provocarono però, in larga parte perché male interpretate, ingenti danni in campo filosofico e letterario; trent'anni fa furono invece le teorie di Deleuze e Guattari - anch'esse in larga parte mal recepite - secondo le quali la vita umana non era altro che una lieve e inconsistente patina che ricopriva il nulla e il vuoto, con il grottesco risultato di un anonimo e indifferenziato "liberi tutti" morale e intellettuale; poi, negli anni Ottanta dei lustrini e del disimpegno, fu la volta dei nouveaux philosophes e dei teorici della cosiddetta gauche-caviar. Adesso, in questo scorcio iniziale del nuovo millennio, è la volta di Michel Onfray con le sue tesi a sostegno dell'ateismo.
Nato nel 1959, Michel Onfray è ormai famoso anche in Italia grazie soprattutto alla traduzione delle sue opere più famose, il discusso e controverso "Trattato di ateologia" e il non meno discusso "Teoria del corpo amoroso" (che propone, come recita il sottotitolo, una «erotica solare»), entrambi pubblicati da Fazi. Ma la sua opera filosofica, per quanto Onfray sia ancora molto giovane, è già vastissima e comprende trattati sul cinismo e l'invenzione del piacere, scritti e diari edonisti, testi sulla filosofia del viaggio (tra i quali una pretenziosa "Estetica del Polo Nord"), libri di cosiddetta gastrosofia,  studi di estetica e infine un pot-pourri di scritti vari su temi di attualità, questioni psicologiche e sociologiche. Il totale assomma a una trentina di titoli che vorrebbero presentarsi come una specie di nuova enciclopedia del sapere contemporaneo. C'è poi da aggiungere che Onfray, del tutto in linea con lo stereotipo del rappresentante del mal francioso intellettuale, è un vero e proprio outsider, nel senso che è fuori da tutte le cerchie accademico-culturali ufficialmente riconosciute e ha perfino fondato a Caen una specie di università alternativa, ribattezzata Université populaire, dove tiene i propri corsi e sviluppa le proprie teorie in piena autonomia e libertà.
Il che è molto bello e molto coraggioso, ma comporta anche alcuni rischi, il più pericoloso dei quali si chiama delirio di consapevolezza. Non ci sono altri termini, infatti, per descrivere il vicolo cieco nel quale si è infilato Onfray. Passino pure le estetiche del Polo Nord e i trattati di gastrosofia, se non altro perché Onfray non è l'unico ad aver trasformato il rigore del pensiero filosofico in un prodotto da banco o peggio ancora in un giochetto ad incastro che spiega in quattro e quattr'otto come si fa a stare al mondo. Ma quando si tratta di grandi temi come l'ateismo, allora il discorso cambia.
L'ateismo propagandato da Onfray è infatti l'esatto contrario (si vorrebbe quasi dire la parodia) dell'ateismo autentico, che proclama l'assenza di Dio ma nello stesso tempo soffre di questa assenza (il grande ateismo, tanto per intendersi, della "Leggenda del Grande Inquisitore" di Dostoevskij e del "Niels Lyhne" di Jacobsen). Il suo ateismo - e in questo si ritorna al mal francioso intellettuale - è ancora una volta un non meglio definito "liberi tutti", una specie di trombonesco, supercilioso e supponente "chissenefrega" o n'importe quoi che spoglia l'essere umano di ogni responsabilità, non solo di fronte all'idea di Dio ma anche di fronte a se stesso e alla propria coscienza. La qual cosa non è un progresso e nemmeno una liberazione. E tanto meno è un segno di laicità, perché la vera laicità -uno degli imprescindibili prodotti dell'illuminismo - non è quella che nega il mistero e se ne fa beffe, ma quella che lo riconosce come tale. Ecco perché l'ateismo di Onfray non funziona: perché si presenta come una fede che si oppone a un'altra fede, o come un assolutismo che si oppone a un altro assolutismo, e quindi nega completamente il senso del mistero, che è parte costitutiva sia del credere che del non credere. «Se Dio non esiste tutto è permesso», diceva Dostoevskij, il quale era conscio della gravità di una simile affermazione, così come Nietzsche, proclamando la cosiddetta "morte di Dio", era perfettamente consapevole della gravità delle proprie parole. Per Onfray, invece, l'assenza di Dio coincide con lo squillo che dà inizio alla festa, sempre all'insegna di un superficiale "chissenefrega" che ha più il sapore dello sbrago collettivo che non della riflessione sul destino e sul perché del nascere e vivere e dover morire. È ovvio che la dichiarazione della dignità umana, di fronte all'assurdità e alle infinite contraddizioni e manchevolezze della vita, suona come una trambonata o una vaga e generica affermazione di principio, ma merita di essere ribadita proprio perché la vita pare così assurda e priva di senso. E lo stesso discorso vale per una vita senza Dio, che merita comunque di essere vissuta e apprezzata, laicamente e responsabilmente, in un continuo e certo difficilissimo confronto con la sensazione di nulla e di vuoto. E purtroppo è proprio questo confronto che Onfray, nel suo delirio di consapevolezza, sembra aver completamente dimenticato o perso per strada, aggiungendo al grande bazar postmoderno delle idee non una possibile liberazione, ma l'ennesima schiavitù.

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Eco di Bergamo ALLEGATO ATEISMO