Cultura e Spettacoli
Sabato 11 Febbraio 2012
Il carcere dei Taviani
fa riflettere il Festival
Commozione per "Cesare non deve morire", il film in gara a Berlino, girato a Rebibbia, con detenuti attori. Leggi l'ampia intervista - il 12 febbraio sull'edizione del giornale in edicola - con i due fratelli cineasti, che "La Provincia" ha incontrato a margine della proiezione.
Ha ricevuto una bella accoglienza l'unico film italiano in concorso al Festival di Berlino. “Cesare deve morire” di Paolo e Vittorio Taviani (nelle sale dal 2 marzo) ha destato interesse per l'ambientazione nel carcere romano di Rebibbia, per la storia ma anche per come è stata realizzata. La storia dei detenuti che mettono in scena il “Giulio Cesare” di Shakespeare è raccontata in bianco e nero con soluzioni visive originali e forti.
Ne abbiamo parlato con i due fratelli registi, autori di “Padre padrone” e “La notte di San Lorenzo”, che rispondono alternandosi e completandosi a vicenda, un po' come spiegano di lavorare sul set.
Come avete scoperto questi carcerati attori?
Un'amica ci disse che c'era uno spettacolo teatrale che faceva piangere, una cosa rara di questi tempi. Era l'"Inferno" di Dante messo in scena in carcere sotto la guida di Fabio Cavalli. Ci ha colpito molto come si immedesimavano nei personaggi danteschi per raccontare il loro inferno. Da Paolo e Francesca arrivavano a rimpiangere i loro amori impossibili. Da lì è nata l'idea di proporgli "Giulio Cesare", anche perché, tra i carcerati che fanno teatro, molti sono colpevoli di reati legati alla camorra e alla mafia e là c'è la famosa battuta di Antonio che dice «Bruto è un uomo d'onore». Partendo dal linguaggio comune, abbiamo pensato che ci fossero tanti aspetti – la congiura, il tradimento, il potere, l'omicidio – comuni alla loro vita vera. Ci è sembrato subito il film necessario, da fare, perché Bruto e Antonio sono vivi e veri oggi come allora.
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