Cultura e Spettacoli
Mercoledì 04 Aprile 2012
Un fiammingo a Como
Fece rivivere Vitruvio
Il "De architectura di Vitruvio" venne stampato da Gotardo da Ponte in città nel 1523
Del fiammingo Gothard van der Bruggen (Bruges, seconda metà del XV secolo-Milano 1552) si ignora quando venne in Italia: di buona cultura umanistica, volle essere e divenne cittadino milanese, come prova l'adozione del nome Gotardo da Ponte, traduzione del nome originario che traspone in italiano il significato del toponimo Brugge. Libraio (nel 1495 aprì bottega nella parrocchia milanese di San Satiro), quasi subito anche editore, poco dopo (1498) divenne tipografo, con stamperia alla Dogana, in Porta Romana.
I 50 anni (1498-1552), o poco più, della sua attività coincidono con uno dei periodi più tormentati della storia politica e sociale di Milano, dalla signoria di Lodovico Sforza al governatorato di Ferrante Gonzaga. Invano, però, di tale inquietudine si cercherebbe una traccia nei suoi annali.
Editore-tipografo la cui produzione si attesta su livelli medi quanto al numero dei titoli usciti dai torchi (159 le edizioni rubricate dalla banca dati Edit, 16 dell'Istituto Centrale per il Catalogo Unico), Gotardo sviluppò un catalogo che si segnala innanzitutto per una scelta di limitare il rango e il numero delle edizioni di autori antichi greci e latini: troviamo solo Elio Donato (1503); Esopo (1504; 1508) volgarizzato e latinizzato; Cornelio Nepote (1511); Vitruvio (1521), appunto; Virgilio: Bucoliche (1514), nonché Bucoliche, Georgiche ed Eneide, con commento di Servio (1516); Ovidio: Heroides (1504 1515 e 1551), nonché Epistulae ex Pontho (1515). Si tratta peraltro di scelte sicure, che comportavano poco rischio editoriale, trattandosi di autori letti a scuola. Un solo strappo, ma ancora con rischio calcolato, Gotardo si concesse, e fu nel 1508, allorquando in una silloge aperta da testi grammaticali di Francesco Negri, pubblicò la propria traduzione latina, dal testo greco, di alcune delle Praescriptiones del retore Libanio sul modo di comporre lettere. Pochi rischi anche negli autori italiani: Boccaccio (1509), con la proposta della novella di Tito e Gisippo (Decameron, X, 8) nella versione latina di Matteo Bandello; ancora nella prosa, con le Croniche di Marcantonio Sabellico (1508); poeti dalla vena versata nella ricerca musicale, quali Serafino Aquilano (1504); le canzonette e gli strambotti d'amore di Leonardo Giustinian (1517); le Eclogae (1506 e 1511) di Giovan Battista Spagnoli. Né si può ignorare l'edizione dell'Orlando innamorato (1507) di Boiardo, alla testa di una significativa schiera di autori di cantari cavallereschi dalla vena popolaresca. Si intravvede così quale dovette essere il criterio ispiratore delle scelte editoriali: testi scolastici, componimenti di facile consumo, testi liturgici, raccolte giuridiche di forma non accademica, e - all'interno di questi e altri filoni - la frequente opzione per il volgare e la copiosa illustrazione, sono tutti fattori che fanno comprendere in qual misura Gotardo tenesse d'occhio le esigenze del mercato, e quanto poco facesse per farsi trovare più avanti rispetto agli orientamenti e alle necessità di chi comprava libri.
Sensibile alle vendite, ed attentissimo ai bilanci: piuttosto che far fondere ex novo serie di caratteri, il tratto distintivo di una intrapresa editoriale che intendesse crearsi uno spazio caratterizzandosi in senso innovativo anche sul piano dell'impatto visivo, Gotardo preferi agire sul mercato per rilevare quelle, già usate, di altri editori che nel frattempo passarono la mano. Certo, nelle scelte editoriali, non fu una mosca bianca: se si guarda, ad esempio, il catalogo di un coevo editore milanese di lui più prolifico, che in metà del tempo (1500-1526) pubblicò una cinquantina di edizioni in più, Giovann'Angelo Scinzenzeler, ci si avvede che anche qui sono presenti opere religiose e testi popolari, quali romanzi cavallereschi, resoconti di viaggio, leggende agiografiche. La diversità, tuttavia, consiste nel fatto che l'offerta di classici è volta, diremmo noi, ad un target più alto, e si coglie inoltre un evidente sforzo di specializzazione sul fronte giuridico. Quindi si comprende bene come, se la venuta di Gotardo a Como nel 1519 si doveva alla committenza ecclesiastica per stampare il citato "Breviarium", egli non potesse lasciarsi sfuggire l'edizione del Vitruvio, garantita dalla committenza di Agostino Galli e Luigi Pirovano. Come modesto contributo alla causa della pace nel mondo, non solleverò la questione delle controversie attorno all'edizione vitruviana e a Cesariano, salvo ricordare qualcosa che forse non è a tutti noto, ovvero che di Benedetto Giovio, cui fu affidato il compito di concludere l'edizione, Gotardo aveva una conoscenza diretta da tempi remoti, avendone pubblicato dieci anni prima, a Milano, il De Venetis Galllicum trophaeum (1510).
© RIPRODUZIONE RISERVATA