Il mistero della Flagellazione
L'enigma della storia dell'arte

Il vero significato del capolavoro di Piero della Francesca è incerto. Tra le ipotesi, la più verosimile interpreta il dipinto come un manifesto politico, la denuncia dell'inerzia dell'imperatore Giovanni VIII Paleologo nei confronti delle vessazioni perpetrate dai Turchi verso i Cristiani. Il disegnatore Chiappori fa il punto sul mistero consegnato a un'opera di straordinario equilibrio. Per saperne di più sulla tesi "bizantina", si legga la critica al libro di Silvia Ronchey, il testo più completo in materia, almeno in Italia.

di Alfredo Chiàppori


La celebre "Flagellazione di Cristo" di Piero della Francesca, conservata nella Galleria Nazionale delle Marche di Urbino, è certamente uno dei casi più discussi dell'ermeneutica artistica, a causa delle diverse anomalie iconografiche che la caratterizzano. L'unica cosa certa è che si tratta di un'opera autografa. La firma, scritta in caratteri capitali romani sul basamento del trono di Ponzio Pilato, "Opus Petri de Burgo Sancti Sepulcri", non è mai stata messa in discussione, mentre tutto il resto rimane incerto e controverso: la data, la committenza e persino il vero il soggetto.
Le prime notizie di questa tavola di piccole dimensioni, cm 59 x 81, si trovano in un inventario delle opere d'arte e degli arredi della cattedrale di Urbino, redatto dall'arciprete Ubaldo Tosi nel 1744. Da questo documento veniamo a sapere che il dipinto di Piero si trovava allora nella sacrestia della chiesa. L'estensore dell'inventario notava quella che indubbiamente è la stranezza formale più vistosa della tavola. La scena della flagellazione di Cristo, rappresentata in modo da essere subito riconoscibile, è infatti posta in secondo piano e sul lato sinistro. In primo piano, sul lato destro, appaiono invece tre misteriosi personaggi, sulla cui identificazione si è discusso a lungo e si continua a discutere.
Piero della Francesca, con straordinaria sapienza prospettica, sottolinea una distanza spaziale tra la figura del Cristo flagellato sul fondo e i tre uomini in primo piano. Qual è il significato di questa separazione tra le due scene? A rendere ancora più evidente tale anomalia, le figure sul fondo ricevono la luce da destra, quelle in primo piano da sinistra, come se avvenissero in luoghi diversi, mentre la prospettiva li unisce nella perfetta geometria architettonica. Questa è certo la questione interpretativa fondamentale: se non si spiega la stranezza della composizione, non si arriva ad alcuna esegesi convincente.
Le principali interpretazioni proposte sono tre. La prima è che tra i personaggi in primo piano e la flagellazione non esiste alcuna relazione di significato, ma una semplice relazione compositiva. La seconda sostiene che le due scene sono contemporanee e organicamente correlate; e cioè che i tre uomini devono per forza avere un nesso significativo con la flagellazione. La terza, infine, ritiene che le due scene sono separate tanto spazialmente quanto temporalmente, ma che un rapporto deve per forza esistere, e deve essere individuato. La prima tesi interpretativa non convince per molte ragioni. Anzitutto, se la flagellazione è il soggetto principale, perché metterla sul fondo? Vorrebbe dire che Piero, in questo dipinto, dimostra una completa indifferenza per il martirio di Cristo. In secondo luogo, i tre uomini in primo piano, che voltano le spalle al Cristo e ai suoi carnefici, non sarebbero niente di più che tre anonimi passanti fermi a conversare. Il che non ha molto senso.
La seconda proposta interpretativa ha incontrato il favore di diversi storici dell'arte, tra i quali Ernst H. Gombrich, uno dei più autorevoli studiosi del Rinascimento. Secondo Gombrich, l'uomo a sinistra con la barba sarebbe Giuda, ritratto nel momento in cui restituisce a due membri del Sinedrio i trenta denari ricevuti per il tradimento. Ma, a parte il fatto che nella tavola non si vede alcuna traccia dei trenta denari, l'ipotesi di Gombrich non spiega una serie di incongruenze. Perché porre i membri del Sinedrio in primo piano? Perché il giovane biondo, al centro, indossa una tunica ed è scalzo, mentre gli altri due indossano abiti quattrocenteschi e sono calzati?
Creighton Gilbert, aderendo alla seconda tesi interpretativa, sostiene che Piero avrebbe raffigurato, oltre a Ponzio Pilato sul trono, anche Erode, l'uomo col turbante, visto di spalle, di fronte a Gesù. I tre in primo piano sarebbero, da sinistra a destra, un gentile, un soldato e Giuseppe d'Arimatea. Anche questa, però, si presenta come una lettura piuttosto fragile e arbitraria, perché non si basa su alcun riscontro testuale. E inoltre non spiega come mai il presunto soldato al centro indossa una tunica ed è a piedi nudi, senza nulla che lo indichi come uomo d'arme.
E veniamo alla terza tesi interpretativa, che sostiene la distanza spaziale e temporale delle due scene, e cioè che il gruppo dei tre uomini in primo piano è costituito da personaggi contemporanei di Piero della Francesca. Occorre partire da una interpretazione formulata da eruditi urbinati del Settecento, secondo la quale i tre personaggi sarebbero Oddantonio conte d'Urbino, il giovane scalzo al centro; suo fratello Federico, a destra; e il figlio di questi, Guidobaldo, a sinistra. Una lettura priva di fondamento e ridicola, per la non corrispondenza relativa dell'età dei tre personaggi, oltre che per la palese non somiglianza dell'uomo a destra con Federico da Montefeltro, che Piero ha ritratto altre volte con il profilo dall'inconfondibile naso. Tant'è che questa triplice identificazione fu presto corretta, mantenendo soltanto il conte di Urbino, Oddantonio. Sicché, gli altri due personaggi sarebbero i suoi consiglieri Tommaso dell'Agnello e Manfredo di Pio, uccisi con lui nella congiura del 1444.
Se così fosse, avremmo un termine di datazione "post quem", il 1444. In tal caso, Federico da Montefeltro potrebbe essere il committente della tavola, per commemorare il fratello ucciso, facendolo paragonare al Cristo.
Dobbiamo a Kenneth Clark l'efficace confutazione di questa ipotesi. Clark, infatti, basandosi su argomentazioni stilistiche e non iconografiche, ha mostrato come l'architettura del loggiato, dove Piero pone Pilato, molto simile a quello in cui si svolge l'incontro di Salomone con la regina di Saba, nel ciclo di affreschi di Arezzo, sia una citazione esplicita del Santo Sepolcro Rucellai di Leon Battista Alberti. Dunque l'anno 1444, o poco dopo, è una data troppo precedente rispetto all'architettura albertiana. Non v'è dubbio che il lavoro di Clark abbia segnato una svolta decisiva nella storia dell'interpretazione della tavola di Urbino. Da qui sono partiti molti studiosi che hanno sviluppato approfondimenti diversi. Sarebbe qui troppo lungo elencarli tutti. Mi soffermerò, invece, sull'importante saggio di Carlo Ginzburg, "Indagine su Piero" (Einaudi, 1994), nel quale si avanza una proposta interpretativa che potrebbe alzare il velo sull'enigma del dipinto.
L'uomo dal ricco manto di broccato, che appare a destra, è certamente un ritratto. La fisionomia del volto, di grande forza espressiva, appare in altre opere di Piero. Nella "Madonna della Misericordia" di San Sepolcro, e in due affreschi di Arezzo: "Disfatta e capitolazione di Cosroe" e "Incontro di Salomone con la regina di Saba". Che si tratti dello stesso personaggio non ci sono dubbi. Chi è?
Attraverso un'analisi rigorosa di documenti, Ginzburg afferma che è un individuo ben noto a Piero, il cui nome ci viene svelato dalla sua presenza nella "Disfatta di Cosroe", nella chiesa di San Francesco di Arezzo. Attorno al sovrano sconfitto sono ritratti i committenti dell'opera, cioè le tre generazioni della famiglia Bacci che avevano voluto, iniziato e concluso il ciclo di affreschi. L'uomo che sorvegliò l'esecuzione della parte finale del dipinto è Giovanni Bacci. È lui che si è fatto ritrarre di profilo accanto a Cosroe. Piero della Francesca era legato da anni a Giovanni Bacci, che era stato anche podestà di Gubbio. La "Flagellazione di Cristo" fu commissionata da Bacci per destinarla a Federico da Montefeltro, con il quale era in rapporti molto stretti. Questa identificazione di Giovanni Bacci come committente della tavola di Urbino ci aiuta a capire chi sono gli altri due personaggi del gruppo in primo piano: l'uomo barbuto a sinistra e il giovane scalzo al centro.
Bisogna tener presente che in Italia, nel Quattrocento, gli uomini non usavano portare la barba. Facevano eccezione degli stranieri, soprattutto greci. Il personaggio di sinistra della "Flagellazione", per la veste dalle lunghe maniche, il copricapo e la barba biforcuta, può essere identificato come uno dei prelati greci giunti in Italia per il Concilio di Firenze del 1438-39, il più celebre dei quali era Bessarione, fatto cardinale alla fine del concilio. E fu proprio Giovanni Bacci, in qualità di nunzio straordinario, a ricevere dal papa l'incarico di recarsi a Costantinopoli per portare a Bessarione la notizia della sua nomina a cardinale.
L'imperatore regnante era Giovanni VIII Paleologo, che aveva assunto un atteggiamento pilatesco, rifiutando di schierarsi nelle lotte tra il partito favorevole e quello contrario all'unione con Roma. L'immagine di Pilato, dipinta da Piero, sarebbe dunque un ritratto di Giovanni VIII Paleologo. La flagellazione di Cristo, ordinata dall'uomo col turbante visto di spalle, evocherebbe le sofferenze dei cristiani greci sotto il dominio turco di fronte all'inazione dell'imperatore. Ed è proprio Bessarione a raccontare questa storia, mentre Giovanni Bacci lo guarda diritto in faccia. Resta da spiegare il misterioso giovane scalzo al centro del gruppo. Ginzburg dice che il suo abito e il suo atteggiamento appaiono incongrui rispetto a ciò che lo circonda. Il volto, bellissimo, non tradisce alcuna emozione, così come i suoi occhi, che guardano nel vuoto. Il giovane biondo è morto?
Ecco allora presentarsi con forza l'immagine di Buonconte da Montefeltro, figlio illegittimo di Federico, morto di peste nel 1458 all'età di diciassette anni.

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