Cultura e Spettacoli
Sabato 21 Aprile 2012
La Baracchi e la scrittura
Sei anni per un romanzo
È la più riservata tra gli autori italiani di alto profilo narrativo. Gabriella Baracchi, considerata da Carlo Bo, nel 1993, la rivelazione più brillante della letteratura italiana dell'epoca, presenta il suo nuovo libro ("Nessuno da baciare", Nodo) il 2 maggio a Chiasso (Ch), alla Libreria del Corso, alle ore 20.15. Ai lettori de "La Provincia" spiega la "fatica" della scrittura.
Mi chiedono perché scrivo poco. Perché ho bisogno di essenza. E poi non sono uno scrittore di prifessione. Ho sempre scritto per me, per l'urgenza di dire qualcosa che voleva essere detto. Poi mettevo nel cassetto, e restava lì anni, come "Il vestito di sacco", come i "Frammenti". Ho incominciato con le poesie, che chiamavo "le mie cose" per timidezza. Più tardi sono passata alla prosa, anche se è stata pubblicata per prima. Scrivevo senza alcun pensiero di pubblicare; così, quando è arrivato il momento, ho lavorato a lungo perché la parola dicesse quello che intendevo e volevo che fosse detto. A volte perdevo la fiducia e mi dicevo che non ce l'avrei fatta. È stato così, soprattutto per "Nessuno da baciare". Per due ragioni. Prima di tutto perché volevo pubblicare la storia dell'Elvezia; volevo che il libro fosse letto. Dunque, memore del successo di "Il vestito di sacco" (sancito da una recensione a tutta pagina di Carlo Bo sul "Corriere della Sera", nel 1993, ndr), volevo scrivere bene. E credevo nella letteratura. In secondo luogo, per poterlo fare, dovevo servirmi dei diari che allora tenevo e dove scrivevo non solo momenti della vita con l'Elvezia, ma anche altro. E rileggerli mi ha fatto soffrire. Per portare a termine il libro ho impiegato sei anni. La difficoltà maggiore è stata quella di "uscire" dai diari, dall'atmosfera intimista che li pervade; tirarmi da parte il più possibile per fare emergere l'Elvezia, la suora che mi aveva accolta ragazzina; mi aveva fatto studiare. Mi aveva voluto bene. E che il destino mi aveva fatto ritrovare non più suora. Avrò scritto dieci stesure. Quando ne terminavo una, andavo da Basilio Luoni, che leggeva, faceva dei gran segnacci sui fogli, e venivo via sfiduciata. Alla penultima, gli ho chiesto: «Sei stufo?». E lui mi ha risposto: «Sì».
Sull'ultima ho lavorato da sola, per un anno. Non ho mai riletto "Il vestito di sacco", una volta pubblicato. "Nessuno da baciare", sì. Quando mi prende la voglia dell'Elvezia, lo rileggo, e sto un po' in sua compagnia. Alcuni lettori mi dicono che si sono innamorati dell'Elvezia. Sono felice. Era lo scopo del mio libro regalarle un po' di "eternità". <+firma_coda>Gabriella Baracchi
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