Lisander e Wolfang
Amicizia da sfogliare

Pochi sanno che Manzoni fu "lanciato" in Europa da Goethe, che rimase affascinato dalla sua poesia e dalla robustezza della prosa. Leggi l'Ode cinque maggio, in italiano e nella versione tedesca.

di Mattia Mantovani

I grandi scrittori hanno solitamente un rapporto piuttosto conflittuale coi colleghi di eguale caratura, nei quali vedono quasi sempre dei concorrenti o perfino dei potenziali nemici. Ma ci sono anche eccezioni.
<+tondo>Nel caso specifico della conflittualità tra grandi scrittori, una delle più belle e interessanti eccezioni è quella rappresentata da due giganti del calibro di Johann Wolfgang Goethe e Alessandro Manzoni, che furono uniti per molti anni da una vera e propria affinità elettiva tanto forte da trascendere tutte le differenze di età, di origine e di concezione del mondo.
Le differenze, infatti, sono enormi. Per quanto profondamente legato all'Italia e al mondo mediterraneo, il cosmopolita Goethe esprime al massimo livello l'idea tedesca di cultura, dal punto di vista religioso oscilla tra l'agnosticismo e un larvato paganesimo riletto e vissuto con sensibilità moderna, e soprattutto concepisce la vita come un'eterna metamorfosi alla quale risulta sostanzialmente estranea ogni forma di trascendenza. Il cattolico Manzoni, di quasi quarant'anni più giovane rispetto all'autore del "Werther", si situa per molti versi all'esatto opposto, sia sul piano religioso che su quello più genericamente umano.
Eppure l'amicizia tra i due è davvero una storia tutta da raccontare. La scintilla scocca nel 1818, quando Goethe legge gli "Inni sacr"i del Manzoni e trova che l'autore sia «un cristiano senza fanatismo, cattolico-romano senza bigotteria, pieno di zelo ma senza durezza». Due anni dopo, Goethe legge "Il conte di Carmagnola" e ne rimane letteralmente folgorato, loda senza mezzi termini la «serietà maschia e la chiarezza dell'insieme», parla di Manzoni come del «nostro amico» e «nostro beniamino» e sottolinea i tratti di modernità del teatro di Manzoni.
Gli elogi di Goethe impongono Manzoni all'attenzione degli ambienti culturali di tutta l'Europa, e il futuro autore dei "Promessi sposi" indirizza all'autore del "Faust" alcune lettere piene di gratitudine e di ammirazione. Goethe, da parte sua, ricambia la cortesia traducendo in tedesco il "Cinque Maggio": la prima traduzione in assoluto, e tuttora una delle più belle e congeniali. Viene poi il turno dell' "Adelchi", che Goethe presenta ai lettori tedeschi osservando che Manzoni è capace di produrre «un tipo di poesia che si può dire unica in opere che nessuno può imitare, e dove la formazione morale ed estetica viene promossa nella stessa misura».
Il massimo dell'entusiasmo è tuttavia riservato ai "Promessi sposi" (la prima versione, ovviamente, quella del 1827). Goethe ne parla all'amico Eckermann come di «un romanzo che supera di gran lunga tutto ciò che conosciamo in questo genere, un romanzo dove si passa continuamente dalla commozione all'ammirazione, e dall'ammirazione di nuovo alla commozione». Il Manzoni dei "Promessi sposi" è uno scrittore che «ha sentimento ma è immune da ogni sentimentalismo», e inoltre è un ottimo storico capace di trasformare il proprio credo cattolico nello spunto per creare momenti, situazioni, episodi e personaggi di grande poesia. I due non si conosceranno mai personalmente. Goethe è anziano e di salute cagionevole (morirà a 83 anni nel 1832), e poi il viaggio in Italia, con tutti i suoi significati umani e poetici, è un momento ormai superato della sua lunga vita all'insegna della metamorfosi. Quanto a Manzoni, nel 1829 sembra quasi sul punto di mettersi in viaggio per Weimar e rendere visita all'amico e ammiratore. Ma all'ultimo momento (pare per un'intromissione della madre Giulia Beccaria) non se ne fa nulla. Tuttavia, anche senza l'incontro personale, rimane il profondissimo senso di un'amicizia che Goethe ha espresso in tanti giudizi lusinghieri ed entusiastici. E che Manzoni, da parte sua, ha mirabilmente sintetizzato nella dedica che figura sull'esemplare dell'Adelchi regalato all'amico d'Oltralpe. È una frase dell'"Egmont", un'opera teatrale di Goethe, che recita: "Tu non mi sei sconosciuto. Fin dalla giovinezza, il tuo nome mi brillava come un astro del cielo".

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