Cultura e Spettacoli
Lunedì 13 Agosto 2012
Ildegarda di Bingen
Per la Chiesa è dottore
Il 7 ottobre la monaca benedettina verrà proclamata "dottore", cioè maestra di dottrina. Ma chi era? Nel XII secolo, grazie alle sue visioni, fu ascoltata consigliera di Papi e di Federico II. Ma soprattutto, decisivo è il suo ruolo nella storia delle donne, perché segnò il punto più alto nell'emancipazione femminile. Un secolo più tardi sarebbe iniziata la caccia alle streghe. Ascolta una delle sue composizioni musicali.
Tra i miti da sfatare sulla condizione della donna nella Storia c'è quella di un Medio Evo ostile all'emancipazione. Niente di più impreciso, specie se guardiamo al XII secolo, quando era proprio una figura femminile a fare opinione nelle due corti in cui si esercitava il potere: il Papato e l'Impero. Ildegarda di Bingen (1098-1179), benedettina tedesca, che sarà proclamata dottore della Chiesa il 7 ottobre, irrompe come straordinario trait-d'union tra le due auctoritates che il concordato di Worms aveva separato per sempre nel 1122.
Da una parte la religione, dall'altra la politica; lo spirito e il peccato: non si comprende il pensiero di Ildegarda se non si parte da qui. Perché la visionaria autrice del "Liber Scivias" e del "Liber divinarum operarum", si sforzò di proclamare l'unità tra anima e corpo, universo e Dio, mali fisici e disagi spirituali, nel solco di una missione profetica in linea con i tempi.
Un'epoca di lacerazione singolarmente vicina alla nostra, in cui è soprattutto il messaggio "olistico" della badessa di Disibodenberg, di ecologia globale a risuonare ancora freschissimo, nonostante risalga a quasi mille anni fa. Oltretutto, Ildegarda rappresenta il culmine di una condizione femminile che, poi, ha conosciuto la caduta, fino alla riconquistata autodeterminazione nei movimenti femministi. Ed è questo, a giudizio di chi scrive, un motivo di grande interesse, ad oggi del tutto sottostimato, nel recupero storico-critico di Ildegarda.
La badessa risana i malati. È riconosciuta come una "vetula" dall'abate di Brauweiler che, nel 1169 assiste alla guarigione operata dalla badessa a beneficio di Sigewize, abitata dal demonio. Di queste "vecchine" pullulava l'Europa del XII secolo, a testimonianza di un ruolo taumaturgico prettamente femminile, radicato - come nota Marta Cristiani nell'introduzione al "Libro delle opere divine" di Ildegarda (Meridiani Mondadori) - nella «tradizione magica di origine pre-cristiana che avrebbe successivamente alimentato la cultura delle streghe». Ildegarda pratica un'arte in cui la terapia tocca l'anima per medicare il corpo, teorizzata in "Liber subtilitatum diversarum creaturarum" (prima enciclopedia medico-naturalistica), precorrendo quella tendenza oggi tanto diffusa della terapia che va oltre il farmaco (si pensi solo alla svolta nella psichiatria impressa dal medico-fenomenologo Ludwig Binswanger a inizio Novecento).
Questo le consente di affrontare, da precursore, patologie di tipo psichiatrico, come la depressione - la "tristitia saeculi" - risultante di un generale inaridimento della persona. Non specialista, né formatasi all'accademia, la badessa di Bingen "vede", possiede sorprendenti intuizioni, come l'immagine della donna «sul cui dorso stava un albero completamente secco» ("Liber vitae meritorum", XC 225) nel quale ella trova il senso del disagio profondo di quella tristezza o accidia in cui, un secolo più tardi san Tommaso d'Aquino scorgerà i sintomi dello spegnersi dell'anima, mai dissociato dal venir meno dell'energia personale.
La "riparazione della scissione" fra anima e corpo si avvale, in Ildegarda, della musica. Pur avendo ricevuto i rudimenti del suono quando, a soli 8 anni, venne affidata alla nobile eremita Jutta, che le fece apprendere la tecnica della salmodia, accompagnandosi al salterio a dieci corde, Ildegarda sostiene di aver composto su intuizione divina. I suoni rammendano l'armonia edenica perduta, erano la voce di Adamo, ripristinata grazie all'arte. Le sue monache si vestono da gran dame e si ingioiellano la domenica, per l'ufficio divino, facendo alzare più di un sopracciglio, tra i benpensanti. Si noti che Ildegarda viene sostenuta sia dalla Chiesa, sia dal potere politico. A fronte delle sue titubanze a mettere per iscritto le visioni, che riceve fin da bambina - una sorta di intuizione intellettuale perfettamente in linea con la simbologia medievale, nel solco di Ugo di San Vittore e della cosmologia dei Maestri di Chartres - è san Bernardo di Chiaravalle ad appoggiarla. Il Papa Eugenio III la avalla. Risuona, nel "Liber Scivias" la lezione del "Periphyseon" di Giovanni Scoto Eriugena, sul potere del Logos divino nella creazione della natura.
Benché Ildegarda si definisca «povera miserella», in lei vibra tutta la cultura del suo tempo. Le sue parole fanno intuire lo sforzo unificante dei saperi e della vita. Non è un caso se l'eresia catara, anche grazie a questo tessuto teorico, non s'imponga in Germania. Però, anche se consiglia Federico II, e nel 1155 persino lo incontra, la badessa dà fastidio. Il diavolo le giura vendetta, chiamandola "Scrumpilgardis", la rugosa, storpiandone il nome.
Donne come lei, nella Storia, non se ne incontreranno più. O meglio, le visioni perdono la dimensione strettamente simbolica e profetica, si fanno impressionistiche, sensibili (si pensi, nel Novecento, all'esperienza delle sante Faustina Kowalska o di Gemma Galgani). Le "vetule" da vecchine diventano vecchiacce pericolose. Nel 1309, a Milano, vengono bruciate al rogo Sibilla e Pierina, le prime streghe. Viene disintegrato un ordine simbolico, ha ricordato Luisa Muraro ("Il Dio delle donne", Mondadori), quello della "lungimiranza", del vedere femminile del divino.
L'ingresso di Ildegarda nel novero dei dottori, dei maestri di dottrina della fede cattolica, compensa - sia pure in parte e tardivamente - la disattenzione sull'attitudine profetica delle donne. Un'unità di pensiero, spirito e sentimenti cui fu maestra la Bingen e che molto può dire, in questi tempi tanto amari.
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