Cultura e Spettacoli
Domenica 23 Settembre 2012
Quando Como disse no
a quelle "case" in centro
Mentre un libro di Cristina Fontana ricostruisce la storia della prostituzione sul Lario, dagli archivi affiora una singolare mobilitazione della città, risalente al 1939. La ricostruisce la storica Elena D'Ambrosio. Guarda la gallery degli arredi delle case di tolleranza, oggetto di una recente mostra.
Fra le novità presenti quest'anno alla Fiera del Libro da poco conclusa, figurava il libro di Cristina Fontana, "Como a luci rosse", una vera e propria ricerca storica che affronta per la prima volta il tema della prostituzione nella nostra città partendo dall'epoca romana ed estendendo l'indagine, basata sulle carte d'archivio, fino ad oggi.
Raiuno sta proponendo in questi giorni, una fiction che ha come protagonista il commissario Mario Nardone (interpretato da Sergio Assisi), il "super poliziotto" famoso per aver istituito a Milano la prima Squadra Mobile, rivoluzionando i metodi di investigazione fino a quel momento usati dalla Polizia, una figura nota ai comaschi di una certa età per essere stato questore di Como nei primi anni Settanta, e che nella nostra città ha fatto proprio della lotta alla prostituzione uno dei suoi cavalli di battaglia, puntando ad una forte azione di repressione del fenomeno, con rastrellamenti notturni nelle vie battute dalle "lucciole" (viale Cavallotti in primis).
La legge Merlin, che aveva decretato l'abolizione della prostituzione legalizzata - di conseguenza la chiusura delle case di tolleranza - e stabito sanzioni (anche l'arresto) nei confronti dello sfruttamento della prostituzione altrui, era entrata in vigore nel settembre del 1958.
Erano le strade ad essere, quindi, invase da «professioniste e dilettanti del sesso a pagamento», in quanto la legge puniva solo lo sfruttamento e il favoreggiamento della prostituzione, non la libertà di praticarla.
Questa battaglia ingaggiata dal commissario Nardone ci riporta indietro nel tempo, quando la legge Merlin (20 febbraio 1958) era di là da venire, e Como, come tutte le città, aveva i suoi bordelli legalizzati.
Erano tre e tutti collocati nel centro della città, a due passi dal Duomo.
Era il maggio del 1939, e mentre veniva portato avanti il progetto di risanamento della Cortesella (che determinerà la demolizione di un pezzo di storia della città), un'altra battaglia - una vera e propria campagna dai toni accesi - fu condotta proprio dalle pagine del nostro quotidiano e dal direttore dell'epoca, il "fascistissimo" Silvio Maurano, per allontanare questi postribili dal centro, per risanare - leggiamo in un articolo pubblicato il 21 maggio - «non soltanto dal lato estetico-edilizio la zona centrale della città».
Si voleva porre fine «all'insopportabile spettacolo di certe resse di giovanotti all'imbocco del vicolo Volpi e del vicolo al Duomo» (quest'ultima via non esiste più).
Veniva affermato nell'articolo che «la cittadinanza è arcistufa di dover assistere, per forza, a scene nient'affatto decorose e assolutamente offensive al buon nome di Como». Urtava soprattutto l'afflusso di auto svizzere che in certi giorni e a certe ore si schieravano numerose in piazza Boldoni.
Il giornale metteva poi al corrente i suoi lettori che le autorità stavano studiando una nuova sistemazione di questi bordelli in via Petrololo, bocciando risolutamente questa proposta e perorando, invece, la causa di un loro confinamento alla periferia della città «dove - veniva sottolineato - non manca certamente lo spazio necessario, lontani comunque dall'abitato». La paventata possibilità del trasferimento di questi «pubblici ritrovi» in via Petrololo aveva fatto insorgere i residenti della zona che inviarono al giornale comasco una accorata lettera di protesta, con una lunga lista di firmatari, in cui veniva sostenuto l'enorme danno che un eventuale trasloco avrebbe arrecato a tutto il quartiere.
Il quotidiano diocesano "L'Ordine" fino a quel momento aveva mantenuto un significativo silenzio sulla questione, ma presto si vide costretto a scendere in campo su sollecitazione de "La Provincia" che voleva avere a tutti i costi un parere a riguardo, un parere a dire il vero scontato. Infatti, il giornale cattolico non poteva che appoggiare la battaglia intrapresa per l'allontanamento dal centro di «certi spacci», anche se poi si affrettava a ribadire che l'ideale sarebbe stato «né lì, né altrove».
A rimescolare le carte e dare ulteriore fuoco alle polveri furono le voci circolanti in città su una presunta decisione del Comune per il trasloco dei bordelli in via Regina.
Questa volta il giornale raccolse le preoccupazioni degli abitanti di quella zona, addirittura «spaventati» per una tale eventualità. Questa polemica montata in tutta velocità, con altrettanta rapidità si esaurì. Le autorità non presero alcuna risoluzione. Ben più gravi problemi si sarebbero presentati poco tempo dopo, con lo scoppio della guerra.
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