Cultura e Spettacoli
Sabato 07 Febbraio 2009
Quella crisi tutta italiana
che iniziò dall'oro di Dongo
La storica Mirella Serri, nel suo ultimo libro sulla divisione della sinistra italiana, sostiene: "E' nei fatti del 1945 sul Lago di Como l'origine della lacerazione"
Professoressa, lei svela una lotta intestina sconosciuta ai più, quella fra liberali e comunisti di Togliatti, perché se ne parla poco? Veramente è un fenomeno ignoto, la sinistra del ’45-48 viene sempre presentata come un movimento compatto per combattere il revival del fascismo. Invece non lo fu. Chi scriveva su "Risorgimento Liberale" erano liberali di sinistra che avrebbero voluto organizzare una sorta di labourismo all’italiana, lo racconto con gli occhi del direttore Mario Pannunzio, ma anche di Salvemini e Rossi che erano antifascisti e anticomunisti e che poi sul "Mondo" ricorderanno la guerra guerreggiata dei comunisti contro gli antifasciti. Dietro non c’era nessuna mente eversiva, ma un sentire collettivo come era accaduto in Spagna.
Leggendo il suo libro pare che le sinistre desiderassero dimostrare quale di esse fosse la più forte, a prescindere dal perseguimento del bene comune. È possibile?
Certo, c’era una rivalità assoluta tra i comunisti per dire chi era il più forte. Il bene comune non lo consideravano proprio. Non dimentichiamo però la delicata situazione in cui si trovava l’Italia; prima del ’48 poteva diventare una democrazia popolare, oppure no. Non sappiamo cosa sarebbe successo in Italia se i comunisti avessero vinto le elezioni. La cosa certa è che i comunisti di Togliatti non volevano ci fossero altri gruppi a sinistra. I liberal socialisti e i comunisti corteggiavano i socialisti, li volevano dalla loro parte e questo fin dalla guerra di Spagna dove ad ogni prova di forza seguiva il rafforzamento del rapporto con i socialisti. Quando finisce la guerra di Spagna (1939 ndr) noi non abbiamo l’impressione che i comunisti abbiano perso la guerra. Quando pensiamo all’antifascismo pensiamo sempre a qualcosa che coincide col comunismo, ma non è così. I liberali di "Risorgimento" avevano dietro Benedetto Croce che venne definito da Togliatti il "conato nel vuoto". Croce nel Ventennio aveva rappresentato l’antifascismo supportato dagli alleati e a Togliatti che altri portassero i verbo antifascisto non piaceva. I democristiani, i qualunquisti, i repubblicani non piacevano a Togliatti anche se ebbe un incontro con i qualunquisti.
Oggi parlare di comunismo come allora non ha più senso, ma sono possibili similitudini con le divisioni nella sinistra di oggi?
In parte sì. Quando c’è stato il centrosinistra al governo, per esempio, c’era ancora un po’ di tensione, di "gara", a chi rappresentava meglio l’antifascismo. Quando Amato voleva varare il pacchetto sicurezza c’era chi lo accusava di nuovo fascismo, ma veniva usato il manganello della purezza antifascista.
Un atteggiamento tutto nostro, paura latente del ritorno di un regime o mentalità?
Entrambe le cose. In Italia abbiamo sempre voglia di delegittimare l’avversario con vecchi metodi dei totalitarismi, non si dice no a qualcuno dicendogli "no, perché quella cosa non ci serve", gli si dice "perché tu sei sbagliato".
Italiani finti tolleranti e rispettosi dell’altro?
A volte sì. Da noi, per dire che non si approva qualcuno lo si definisce con una terminologia offensiva, che lo esclude dal contesto democratico, invece bisognerebbe distinguere e discutere sugli argomenti. Dal libro emerge che c’erano vari antifascismi di cui anche oggi dovremmo tenere conto: dei cattolici, dei liberali, dei monarchici. Invece non lo si è fatto e non lo si fa, da qui nasce una mentalità intollerante. Prima del ’48 chi era di sinistra, ma non in linea coi comunisti veniva definito un "fascista mascherato".
Nelle sinistre lacerate di cui lei parla, motivo di contrasto fu anche l’oro di Dongo e i fatti del Comasco, perché?
Perché proprio nel Comasco ci fu il conflitto più duro nelle sinistre, che ha la sua miccia nell’oro di Dongo. Dopo l’uccisione del giornalista De Agazio, direttore de "Il Meridiano d’Italia" di Milano, che era di destra e indagava sull’oro di Dongo, si torna a parlare della decina di uccisioni legate all’oro, il cui peso emerge proprio nella primavera del ’47. Pannunzio entrò in polemica con i comunisti sul fatto se anche i partigiani presunti assassini di quelli che si pensava sapessero dell’oro dovessero essere giudicati dalla giustizia dei partigiani o da quella comune. Il processo durò 30 anni e ancora oggi attorno all’oro di Dongo resta il mistero.
Carla Colmegna
© RIPRODUZIONE RISERVATA