Cultura e Spettacoli
Sabato 07 Febbraio 2009
Isella e Linati, a Rebbio
l'amicizia di una vita
Nelle memorie postume del filologo varesino, un capitolo ricostruisce, con i ritmi di un racconto, l'incontro con lo scrittore comasco
È un Dante Isella che si muove tra saggio critico e memorialistica, che mette in luce, al di là della figura già conosciuta del critico di grande levatura filologica, anche quella di un originalissimo prosatore, quello che ci propone il suo libro inedito, "Un anno degno di essere vissuto", opera che esce per Adelphi (pag.158, euro 12). Racconta un periodo cruciale, vissuto da esule durante la guerra, come tanti italiani, all’Università di Friburgo, tra il 1944 e il 1945, in cui matura una vocazione e, insieme, una linea di ricerca che, dalla metà degli anni Cinquanta, darà frutti (dagli studi su Dossi alle edizioni di Porta, Parini, Gadda, Manzoni), destinati a lasciare il segno. È una città particolarissima quella che ricorda Isella: «La Friburgo di allora è nel ricordo un’immagine tutta a sé, non sovrapponibile a quella rivista in qualche rapido passaggio successivo. Una città effervescente, animata dalla presenza di alcuni intellettuali di rango; esuli dalla Francia di Pétain, dalla Spagna di Franco, o dall’Italia della disfatta». E con dei valori da perseguire che, riletti oggi, sembrano altissimi, soprattutto per quanto riguarda la necessità di trovare "lezioni di vita" in cui immergersi: «È difficile oggi dire che cosa significasse per me, per i miei amici migliori, il ritorno agli studi dopo l’interruzione della vita militare, nella bufera di una guerra che stava scalzando il mondo dalle sue radici. Sentivamo il bisogno di verità minime, ma certe; di maestri capaci di trasmetterci una scienza severa e di iniziarci a idee e strumenti con i quali riprendere da capo una storia deragliata sui binari dell’inganno e dell’odio. E questo era quanto il caso, giocando con i nostri destini personali, ci aveva fatto incontrare a Friburgo, alle lezioni di un vero maestro, maggiore di noi di soli dieci anni».
L’incontro è quello con Gianfranco Contini, il grande filologo che cambia le prospettive della critica letteraria in Italia e che diventa il filo conduttore di questo ottimo libro, curato da Giorgio Pinotti e composto raccogliendo scritti di varia natura e occasione, così come li aveva elencati Dante Isella nella scaletta del progetto del libro. Ogni scritto riguarda personaggi importanti della cultura italiana degli ultimi cinquant’anni, spesso nomi non famosissimi oppure dimenticati, di cui Isella traccia un vivido ritratto, senza mancare l’occasione di ricordare sempre quell’anno a Friburgo, definita «l’esperienza più esplosiva, fondamentale, di quel periodo», con «lezioni difficili, lezioni che proprio per la loro difficoltà ci ponevano nella necessità di un’attenzione acuita». C’è una ragione che determina l’eccezionalità di quella esperienza ed è il "salto di qualità" che Contini era in grado di far percepire: non un semplice bravo professore, ma un professore che scardinava i parametri dell’indagine critica: «Contini ha significato non un più di sapere, ma un salto di qualità. Non trovavamo in lui l’uomo che, con dieci, undici anni più di noi, aveva accumulato una scienza straordinaria, attraverso una capacità di lavoro fuori dal comune; eravamo di fronte al genio, capace di fare quel salto di qualità che solo a pochissimi è dato di fare». Anche lui non faceva nulla per affascinare i suoi allievi, anzi li obbligava a dure e difficoltose prove, ma era proprio quel suo rigore a creare intorno a lui tanto fascino: «Ti introduceva in una logica ferrea , in un mestiere dove ogni passaggio richiedeva un’attenzione concentratissima così come nelle scalate di montagna».
È proprio Contini che manda Isella da San Quirico a Rebbio, un sobborgo di Como, dove vive Carlo Linati, con un bigliettino, a sua firma, di presentazione, per trovare un modo per accedere alle carte di Carlo Dossi e permettergli di concludere la tesi sulla lingua e lo stile di questo scrittore che diventerà uno degli argomenti di indagine critica che gli staranno più a cuore. Isella ci fornisce uno straordinario racconto di quella prima visita e conclude: «Quel mattino stesso, mentre scendevo verso la Camerlata e il treno della Nord, mi vidi superare da un elegante sportsman in bicicletta. Riconobbi da dietro il mio cortese ospite. Di lì a non molto, nonostante la diversa età, diventammo buoni amici». È un legame forte che si instaura dagli anni della giovinezza quello che lo lega al grande Giovanni Pozzi, entrambi originari dell’area del Lago Maggiore, con in comune «il nostro discepolato, in anni diversi, sotto il magistero friburghese di Gianfranco Contini», «un’amicizia stretta e cresciuta attraverso vicende e occasioni scalate nel tempo». Isella nutre una grandissima stima per Giovanni Pozzi, una figura in cui «l’uomo di chiesa e lo studioso sono un tutt’uno, in lui la passione per le lettere è nata e cresciuta con la formazione francescana». E parlando di Padre Pozzi Isella svela anche le ragioni profonde del suo lavoro sui grandi genii della lombardità. Lo fa nello spiegare le ragioni di questa loro amicizia consolidata dalla «comune radice lombarda», i costumi, insomma quel sentimento di Lombardia che unisce, al di qua o al di là dei confini artificiali, chi è nato in questa bella terra di laghi e di montagne, nel cui humus l’essenza "filologia" sembra essersi sviluppata nel tempo in una pianta di particolare vigore.
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