Cultura e Spettacoli
Lunedì 09 Febbraio 2009
Il Macbeth di Lavia
Tragico uomo ridicolo
L'attore e regista milanese porta in scena a Como, il 10 e l'11 febbraio, il capolavoro di Shakespeare: "Più che un tiranno, un buffone"
Prosegue senza sosta la sfilata dei grandi nomi della prosa italiana al teatro Sociale di Como. Dopo il Branciaroli donchisciottesco di qualche settimana fa e la strepitosa Franca Valeri interprete de "Le serve", ecco arrivare nella massima sala cittadina un altro carismatico protagonista. Si tratta di Gabriele Lavia, sessantaseienne attore e regista milanese che, ancora una volta, si cimenta con uno dei testi simbolo del teatro europeo. Il 10 e l'11 febbraio, alle ore 21, metterà in scena a Como, "Macbeth", potente e cruenta tragedia di Shakespeare che Lavia ha già incontrato in passato, per averla interpretata nel 1987. D’altra parte, come ben sanno gli spettatori che hanno seguito il percorso artistico di questa personalità della scena italiana e non solo, il teatro del Bardo resta uno dei cardini nella ricerca di Lavia, sempre particolarmente attento ai "classici", dall’antichità al contemporaneo. Proprio Shakespeare accompagnò, ad esempio, nel 1975, la prima regia di Lavia, impegnato, in quell’occasione, con una messinscena di "Otello". Uno stile interpretativo inquieto e ricco di interrogativi e scavi psicologici, quello di Lavia, che lo ha portato spesso ad andare oltre la prima lettura, per analisi altamente drammatiche e quasi sempre a tinte fosche. Su questa linea si colloca anche il "Macbeth" che vedremo al Sociale, di cui Lavia è interprete, nei panni del personaggio principale. Sulla scena, sarà affiancato da Giovanna Di Rauso, giovane attrice che ha conquistato il Premio Hystrio «Giovani talenti» nel 1999 ed è stata segnalata nella terna degli Olimpici del Teatro 2007 come miglior attrice non protagonista. Insieme Lavia e Di Rauso daranno corpo alle terribili vicende della coppia diabolica che incarna la tentazione del potere, il tradimento, la decadenza morale senza freni. Sulla scena, Lavia rappresenta il re usurpatore Macbeth come un «patetico attore alla ricerca della propria identità», più che un tiranno un buffone, grottesco con il suo viso incipriato e la sua incapacità di indossare in modo credibile la maschera del potere.
La lettura che, in questo allestimento, viene proposta, ha, dunque, una forte valenza metateatrale, sia per le citazioni da altre opere shakespeariane ma anche per le stesse caratteristiche della scena, allestita con gli oggetti della vita d’attore: dalla toilette allo specchio con luci ai bauli stracolmi di abiti di scena. In questo spazio, lontano dalla cornice classica della tragedia, la sanguinosa storia di Macbeth diventa racconto privo di senso, in uno spazio che è teatro ma anche mondo. Uno spazio svuotato, perché, come dice lo stesso Lavia, «Il palcoscenico della storia è andato in pezzi e l’Uomo-Attore sulla scena del mondo» recita la sua vita come «la favola scritta da un idiota. Non significa nulla». Vedremo dunque uno spettacolo che si propone di parlare all’uomo d’oggi, una pièce in cui Lavia, come sempre fa rappresentando Shakespeare, propone le proprie riflessioni filosofiche e teatrali.
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