Cultura e Spettacoli
Sabato 28 Febbraio 2009
Il Lariosauro? Segreti
scritti nelle rocce lariane
Il paleontologo Giancarlo Colombo ricostruisce il profilo del rettile vissuto oltre 230 milioni di anni fa, protagonista (suo malgrado) di tante leggende lariane
La moderna paleontologia, sempre più illuminata dagli ultimi studi genetici, ha contribuito a far uscire dalla leggenda anche un esemplare della fauna del territorio lariano. Oggi sappiamo che il Lariosauro ha abitato davvero i fondali di quello che gli studiosi chiamano Pantalassa, il mare primordiale che lambiva la “terra madre” dalla quale hanno avuto origine tutti i continenti. Per sfatare su base scientifica il mito del mostro marino che ha a lungo portato la sua ombra di mistero nei racconti popolari, dobbiamo spostarci nel periodo Triassico.
Oltre 230 milioni di anni fa, l’unico macro continente emerso era costituto da un agglomerato di piattaforme carbonatiche, vaste centinaia di chilometri. I territori emersi si affacciavano su un golfo chiamato Tetide, i cui bassi fondali, sarebbero diventati le Alpi, e le Prealpi. Fu il progressivo distaccamento delle terre una dall’altra a scaricare in quello che era il liquido amniotico del mondo masse enormi di sedimenti. Da essi ebbero origine le catene montuose. Ecco perché, tra le rocce delle Grigne, si nascondono oggi i segreti della vita sul nostro pianeta. E proprio dal calcare di Esino, comune montano del Lario lecchese, sono arrivate fino a noi le più belle testimonianze della fauna e della flora di quel periodo. Tra queste anche il "nostro" Lariosauro, rettile capostipite di una specie autoctona. Il "Lariosaurus balsami", questo il nome scientifico, poteva raggiungere in età adulta il metro e mezzo di lunghezza, il corpo era snello e si spostava dai fondali alle terre basse. Il cranio, del quale uno dei suoi più attenti studiosi, il professor Giancarlo Colombo, ha tentato una ricostruzione, presentava, una sola fossa temporale alta. Un dato che lo fa rientrare nel gruppo degli euriapsidi. Si deve immaginare il suo ambiente naturale come coperto da conifere tropicali e popolato da una fauna molto ricca di pesci e rettili, quei predatori che stavano in cima alla catena alimentare. Una biosfera che oggi gli studiosi paragonano a quella delle attuali isole Bahamas, con le quali avrebbe avuto in comune le temperature e i circa 20 gradi di distanza dall’equatore. Ma preziosi esemplari fossili di "Lariosaurus balsami" arrivano anche dalle miniere di Varenna, dove gli ultimi cavatori infrangevano a forza di braccia e piccone i segreti del marmo nero delle cave di Scanagatta e Perledo. A dare notizia del primo ritrovamento nel1830, fu Giuseppe Balsamo Crivelli, (l’articolo apparve sul "Politecnico" di Milano) al quale il rettile del Lario deve il nome. Nel 1839 arrivò la classificazione come specie autonoma, grazie al lavoro dello studioso Giulio Curioni. Oltre al Lariosaurus balsami esiste la specie del "Lariosaurus buzii", rinvenuto in Canton Ticino o il Lariosaurus curionii, proveniente dai Pirenei. E una sorpresa arriva dalla Cina, le cui coste si affacciavano sullo stesso Golfo della Tetide nel quale si bagnavano le nostre terre. Un esemplare di Lariosauro nuotò nello stesso mare che oggi a distanza di migliaia di chilometri lambisce la città di Xing Hing.
In Italia l’ultima scoperta, questa volta di un "Lariosaurus valceresii", un “cugino” apparso circa un milione di anni dopo, è avvenuta nel Varesotto. Ma il Laiusaurus balsami è anche un caso speciale nella storia dell’evoluzione. Rappresenta, infatti, un grado intermedio di passaggio dalla zampa alla pinna e lo colloca come un antenato dei plesiosauri. Ed è proprio il merito di aver aggiunto un tassello al complicatissimo puzzle della catena evolutiva a portare definitivamente fuori dalla leggenda questo antico rettile di casa nostra.
© RIPRODUZIONE RISERVATA