Intendo tornare su Francesco Cigalini per integrare il profilo della sua cultura (cfr. La Provincia del 29 dicembre 2008): vorrei farlo richiamando un episodio oggi poco noto, ma che dichiara anch’esso la sua capacità di collocarsi ai livelli più alti della riflessione intellettuale dei primi decenni del secolo XVI. Vi è un pensatore, il cui nome compendia le idee più vitali elaborate tra ’400 e ’500 dalla tradizione umanistica europea: dall’idea di tolleranza religiosa al rifiuto della guerra, dal nuovo rigore filologico necessario per accostarsi correttamente al testo biblico, al rifiuto della boria intellettuale della vecchia scolastica così come della sterilità dell’imitazione ciceroniana (per lui, paganeggiante) cresciuta all’ombra della corte pontificia di Leone X (1513-1521). Il suo nome è Erasmo da Rotterdam. La sterminata rete delle sue relazioni (l’edizione del suo epistolario: Opus epistolarum Des. Erasmi Roterodami, Oxford, Clarendon Press, 1906-1911, consta di 11 volumi) comprende quasi tutti i protagonisti di quella irripetibile stagione, nella quale i confini del mondo conosciuto si allargarono come per incanto, si rivelò possibile e necessario un rinnovamento profondo della Chiesa, mentre con la riemersione delle opere di Archimede e di Galeno, di Dioscoride e di Tolomeo, nuovamente interpretati, si crearono le premesse concettuali di una svolta radicale nella tradizione filosofica e nella scienza. Chi era in corrispondenza con Erasmo, respirava quel clima, partecipava a quel fervore. Ebbene, forse ai soli specialisti è oggi noto che Francesco Cigalini ebbe una corrispondenza epistolare con il filosofo olandese: gli inviò una ricca dissertazione (copiosa disputatio), non tramandata, a cui Erasmo rispose con una lunga lettera da Basilea, che possediamo, datata 15 marzo 1526 (t. VI, n. 1680).
Quale fu il percorso che guidò l’oscuro medico comasco ad appellarsi in forma così diretta, e tuttavia persuasiva, al "grande" Erasmo ? É probabile che la via gli sia stata aperta dall’amico Benedetto Giovio, il quale pochi mesi prima aveva avuto per primo una corrispondenza con Erasmo, che replicò con una densa e dotta lettera, sempre da Basilea, nell’ottobre (così si pensa) del 1525: dimostrando fattualmente che la volontà di dialogo di Erasmo non guardava alla notorietà, vera o presunta, degli interlocutori, ma alla ricerca della verità che li animava. Cigalini aveva criticato la nuova traduzione latina data da Erasmo ad un passo di Luca, 2, 14: dove la vulgata traduceva le ultime, notissime, parole con «hominibus bonae voluntatis» («[pace in terra], agli uomini di buona volontà»), Erasmo invece le traduceva con «hominibus bona voluntas» («[pace in terra], agli uomini buona volontà»). La lettera di Erasmo, di necessità più stringata di quella del nuovo amico comense, si apre con un esplicito riconoscimento: «Mi congratulo vivamente per l’eccellente cultura letteraria e per la conoscenza delle sacre scritture, e del fatto che esse iniziano a stare a cuore anche ai medici». La questione del passo di Luca 2, 14 era già stata posta, da critici non benevoli, alcuni anni prima, ed Erasmo garbatamente rimprovera l’amico di non averne tenuto conto. Nessuna differenza tra loro due circa l’interpretazione generale del passo: alla gloria nei cieli corrisponde la pace sulla terra, poiché era giunto colui che avrebbe dissolto i peccati del mondo.
Tuttavia il testo greco del vangelo sul quale lavorava Erasmo - in corrispondenza di quel <bonae voluntatis> («di buona volontà») che la vulgata poneva al caso genitivo - presentava un inequivocabile nominativo (vale a dire: eudokìa): al più, alcuni manoscritti del testo greco presentavano, davanti alla parola greca per «uomini», una preposizione <en> (corrispondente al latino in), facendo assumere alla traduzione l’andamento «in hominibus bona voluntas» («[pace in terra], fra gli uomini buona volontà»): il punto è peraltro rimasto controverso (A Greek-English Lexicon of the New Testament, by William F. Arndt-F.Wilbur Gingrich, Cambridge-Chicago, Cambridge University Press-The University of Chicago Press, 1957, pp. 319-20). Ma il testo biblico, per Erasmo, va analizzato con il medesimo rigore che si applica ad un testo di qualsiasi altra tradizione culturale. L’esito formale è che mentre nella vulgata l’espressione è articolata in due membri (in excelsis … in terris), la traduzione di Erasmo, che muove dal rispetto del testo greco, vede l’espressione scandita in tre membri (in excelsis … in terris … (in) hominibus). Cigalini difende la traduzione vulgata, ma lo fa in modi che Erasmo ritiene filologicamente improvvidi: ad esempio appoggiandosi sull’autorità di un presunto testo di Origene, che nessuno ha visto, oppure utilizzando la testimonianza di Crisostomo e Teofilatto, senza controllarne gli originali greci, che lo smentiscono. Il punto più istruttivo è però che la diversa traduzione comporta una diversa interpretazione: in un testo così restituito, la <bona voluntas> - apposizione di <pax>- si riferisce non all’uomo, ma a Dio, e va intesa come «il favore gratuito di Dio nei nostri confronti», puntualizza Erasmo: la pace di Dio è dunque distinta dalla pace del mondo, «non è la pace ordinaria, né prodotta dalle buone azioni degli uomini». Decisamente interessante è anche l’aspetto metodologico che Erasmo, in apertura, richiama a Cigalini. Una nuova traduzione non può suonare a sconfessione della precedente: chiunque non sia soddisfatto delle argomentazioni filologiche a sostegno della nuova, che Erasmo ha proposto «lasciando a ciascuno libertà di giudizio», può attenersi al testo tradizionale. D’altro canto, a chi lo critica per non aver emendato il testo greco in conformità alla vulgata, Erasmo ribatte di essersi proposto in quella sede solo di tradurre i codici greci, non di intervenire filologicamente su di essi: cosa qui tanto più assurda in quanto i manoscritti greci convergono. La lettera si chiude riconoscendo a Cigalini, dal quale spera di essere tenuto nel novero degli amici, il merito - e la gratitudine - di aver richiamato la sua attenzione sulla necessità di chiarificare meglio quel passo. Una lezione - ancora oggi - di esercizio della critica, rispettoso del vero e del certo.
Franco Minonzio
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