Cultura e Spettacoli
Lunedì 11 Maggio 2009
Puccioni, regista occulto
nel tramonto del fascismo
Nelle giornate cruciali dell'epilogo del regime, a Villa Camilla di Domaso
l'avvocato operò da "pontiere" tra le camicie nere e i partigiani moderati
Una storiografia faziosa e ossessivamente rivolta agli ultimi secondi di vita del dittatore non ha voluto far emergere, in tutta la sua importanza, il ruolo svolto da Domaso; le sue ville ospitavano attività, naturalmente clandestine, di intelligence politico-militare, volte dapprima ad evitare l’esecuzione sommaria del Duce, e successivamente, compiutosi il massacro di Dongo e la sparizione degli ori, a salvaguardare i documenti mussoliniani da una ulteriore azione predatoria dei comunisti. Motore di tutte queste operazioni fu l’avvocato Piero Bruno Puccioni, sfollato con la famiglia a Villa Camilla, attuale sede del municipio di Domaso, dopo l’arrivo degli Alleati a Firenze, nell’agosto del ’44. Il fiorentino Puccioni, nato nel 1903 e morto nel ’90, era stato il referente politico, nel capoluogo toscano, della corrente farinacciana del Partito fascista ed era stato deputato. Egli era nipote di Giotto Dainelli, geografo e geologo, accademico dei Lincei e podestà di Firenze: nei mesi che precedettero la liberazione angloamericana della città, lo scienziato si dedicò a preparare un assetto che oggi chiameremmo di "protezione civile", per evitare alla popolazione le sofferenze causate dal temuto scontro tra tedeschi e Alleati. Nominato presidente dell’Accademia d’Italia, succedendo al filosofo Gentile assassinato dai Gap comunisti, Dainelli sfollò sul Lario a Villa Carlotta dove ebbe sede provvisoria anche la prestigiosa istituzione.
Villa Camilla era stata offerta a Puccioni dal suo più fraterno amico, il conte Giovanni Sebregondi, che ne era proprietario. Fin dal suo arrivo a Domaso, Puccioni si dedicò a un’azione sotterranea, da "pontiere", tra fascisti e la parte moderata dei partigiani vicina agli Alleati. Chi lo ha conosciuto, lo descrive come un grande charmeur, straordinariamente abile nel gestire i rapporti umani. Nel dopoguerra, i famigliari assistettero, a Ginevra, a una scena imbarazzante: Puccioni fu riconosciuto da un ebreo, che per ringraziarlo di quanto aveva fatto per salvarlo si gettò a terra a baciargli i piedi, chiedendo alla moglie di fare altrettanto. A Domaso, dunque, nei mesi che precedettero l’epilogo si dedicò a fare il "consigliori"; se da una parte, egli, in quanto dignitario del regime e nipote del presidente dell’Accademia d’Italia, esercitava una certa influenza sui fascisti, dall’altra, dietro le quinte, dispensava suggerimenti ai partigiani non comunisti, i quali, essendo giovani, erano anche piuttosto inesperti.
Per prima cosa, si guadagnò la confidenza del comandante di Brigata, la 52a garibaldina che avrebbe arrestato il Duce e i gerarchi, per una facile ragione, legata alle comuni origini: Pier Bellini delle Stelle, "Pedro", era un fiorentino di famiglia nobile. Dopo "Pedro", anche gli altri partigiani di orientamento moderato, uno dopo l’altro, entrarono nella sfera d’influenza di Puccioni: il vicecommissario della Brigata, Urbano Lazzaro "Bill", Stefano Tunesi "Primula Rossa", il socialista Aldo Castelli "Pinon", Antonio Scappin "Carlo". Quest’ultimo, brigadiere della Guardia di Finanza e comandante del distaccamento di Gera Lario, ebbe un ruolo-chiave nella destinazione dei documenti sequestrati a Mussolini e ai suoi accoliti.
Bisogna subito aggiungere due informazioni. La prima è che, nelle settimane della primavera 1945, Puccioni operò in coordinamento strategico e operativo con due altre sedi logistiche importantissime, sulla piazza di Domaso: Villa Miani, dove vi era un altro sfollato "eccellente", l’avvocato Luigi Segattini di Verona, e Villa Miglio, che venne requisita e usata da "Bill" come sede "defilata" e luogo di deposito di valori e documenti sequestrati. Inoltre, se si seguono i movimenti di due borse di carte appartenute a Mussolini, sappiamo che esse rimasero depositate, dal 27 aprile al 2 maggio, alla filiale della Cariplo di Domaso. L’altra notazione di fondamentale importanza riguarda i contatti preferenziali che, tra le varie intelligence straniere che scorrazzavano lungo le rive del lago, Puccioni instaurò con gli uomini dell’Oss, il servizio segreto americano. Tutto questo conduce a molti dati di fatto documentati: l’avvocato fiorentino (che utilizzava come nomi di copertura "Bartolomeo Prosperi" e "Cei") fu dapprima tra i registi occulti dell’accordo di resa con l’Oss (firmato dal vicesegretario del Partito fascista repubblicano, Romualdi), che prevedeva la creazione della zona franca in Val d’Intelvi (dove i fascisti avrebbero dovuto concentrarsi in attesa dell’arrivo degli americani); nell’ambito di questo piano era prevista anche la salvaguardia del Duce, in attesa che si svolgesse un processo. Dopo l’arresto di Mussolini, Puccioni progettò di tenere nascosto il dittatore a Villa Camilla, sotto protezione, in attesa della sua consegna agli Alleati. La centrale di iniziativa anticomunista domasina operò per costruire un punto di convergenza tra la parte moderata degli antifascisti e i fascisti, sotto l’egida degli Alleati. Sappiamo che il piano di consegnare il Duce agli americani fallì, per il deciso intervento dei comunisti. L’epilogo sanguinoso di Dongo, e l’incameramento del tesoro dei gerarchi, imposero a Puccioni e ai suoi alleati di concentrarsi su un altro obiettivo strategico: impedire che anche le carte segrete di Mussolini finissero nelle disponibilità del Pci.
Roberto Festorazzi
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