Cultura e Spettacoli
Giovedì 28 Maggio 2009
Sant'Elia, la Città Nuova
si mette in mostra, a Como
Tanto auspicata, nel dibattito sull'arte sollevato dallo scorso autunno sulle pagine de La Provincia, l'esposizione dei disegni dell'architetto futurista
Quante persone hanno avuto la fortuna di vedere tutti insieme i disegni di Antonio Sant’Elia conservati presso i Musei Civici di Como, dopo l’ormai leggendaria mostra del 1962 a Villa Olmo che per la prima volta allineò l’opera completa dell’architetto? Risposta perentoria: nessuno. Negli scorsi anni varie mostre, come quella che sta per essere inaugurata ad Alessandria, hanno potuto ottenere in prestito un certo numero delle tavole e dei foglietti che fanno parte della collezione comasca, ma non certo l’intera collezione. Di qui l’interesse della mostra che l’assessorato alla Cultura del Comune di Como ha programmato per l’autunno prossimo (dalla fine di settembre, ndr) nelle sale di Palazzo Volpi: si avrà così la possibilità di visionare anche gli schizzi, i disegni considerati "minori" del geniale architetto in tutto l’arco della sua attività, tanto breve nel tempo quanto intenso nell’impegno ideativo. L’importanza dell’esame complessivo è data dalla sua completezza. Sono disponibili nella collezione disegni di modesta dimensione, spesso tracciati a matita su foglietti da taccuino, che appaiono significativi per la successiva definizione di tavole di dimensione maggiore e quindi di progetti fra i più noti ed elaborati, quelli della metropoli futurista. Esporli vuol dire quindi far intendere meglio quanto sia stata intensa la ricerca progettuale di una nuova dimensione urbana, anche seguendo percorsi diversi e destinazioni spesso impreviste rispetto alle immagini di più impressionante valore profetico già ripetutamente pubblicate. Queste immagini che costituiscono il mosaico della cosiddetta "Città Nuova" ed hanno reso famoso nel mondo il nome di Sant’Elia fin dagli anni Trenta, grazie soprattutto all’azione divulgativa di Marinetti, si sono prestate a considerazioni critiche in molti casi troppo a senso unico, orientate cioè a valutare l’esito finale di un’esperienza più teorica che pratica, relegando tutto ciò che ha preceduto l’ideazione della "Città Nuova" nella fase della pura formazione scolastica. Ma il poter rivedere tutto l’iter della progettazione santeliana, molti anni dopo la fondamentale esposizione a Villa Olmo del 1962 e le successive mostre antologiche a Venezia nel 1991 ed a Francoforte nel 1992, può dar modo di rivedere almeno in parte l’impostazione esegetica praticata da molti studiosi, constatando che la radice culturale secessionista dell’architetto non venne da lui mai rifiutata, nemmeno nelle ultime prove del suo genio profetico. Vale a dire che sono rintracciabili nella sua opera almeno due filoni paralleli, l’uno proiettato verso un’utopica megalopoli ricca di ritrovati tecnologicamente all’avanguardia (ascensori esterni, "tapis roulant" per il trasporto pedonale, strade a più livelli, centri di comunicazione polivalenti, centrali elettriche e via dicendo) l’altro fedele ad elementi costruttivi e decorativi del laboratorio della Grande Vienna di Otto Wagner quando il soggetto da ideare era un edificio monumentale, a funzione celebrativa o di rappresentanza. Non solo: appare evidente, anche ad una lettura non approfondita, che molti disegni appartenenti, per così dire, alle due serie progettuali, hanno in comune più di un particolare costruttivo che ne rivela la comune matrice. Questo doppio binario che, come si diceva, non si interrompe nemmeno nei disegni più tardi, è particolarmente rintracciabile nella collezione di Como, la più ampia fra quelle disponibili, con i suoi 168 pezzi originali (una sessantina di più rispetto a quelli esposti nel 1962), oltre ad un notevole numero di riproduzioni fotografiche e documenti d’epoca, che offrono un panorama davvero esaustivo dell’opera di uno straordinario urbanista del primo Novecento. A proposito del quale giova anche precisare che il suo slancio prefiguratore, come appunto dimostrano le ipotesi progettuali della collezione comasca, non si librava nel vuoto della fantasia, ma si affidava a ragionevoli prospettive dell’esistenza di abitanti delle grandi città alla vigilia della fine di un millennio. Tanto ragionevoli da prospettare soluzioni attuabili nel convogliare e distribuire il traffico, nello sfruttare fonti energetiche, nel gettare le basi di una convivenza confortevole per masse di cittadini. La sua megacittà, che certo ha davanti come modello gli arditi grattacieli di New York ma non per imitarlo pedissequamente, non si azzarda ad includere palazzi superiori ai dodici/quindici piani di altezza, pensa a sfruttare al massimo l’energia elettrica che allora era il mezzo in piena espansione produttiva, evita stramberie formali. Esalta la forza della vita comunitaria superdimensionata, popolare, meno la grazia ornamentale della residenza altoborghese. È il lavoro di un uomo del suo tempo che tende a travalicarlo con una sua singolare capacità profetica ma senza rinunciare ad un acquisito bagaglio di mestiere, di esperienza professionale guadagnata sul campo. La sua opera è stata quindi definita non a torto "utopia ragionevole", da buon comacino. Lo si potrà verificare a fondo nella prossima occasione espositiva.
(* Curatore, con il professor Luciano Caramel, della mostra)
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