Cultura e Spettacoli
Lunedì 01 Giugno 2009
Come riappropriarsi del paesaggio
con lo zaino sulle spalle
Tra antichi mulattiere sulle orme di Segantini
Le sorprese di una nuova guida del Triangolo lariano
Il formato è quello giusto, da tasca laterale dello zaino. La copertina - pascoli in primo piano, montagne sullo sfondo e in mezzo una fetta di lago azzurro - anche. I contenuti sono esplicitati fin dal titolo "Tutto il triangolo lariano. 36 escursioni da vivere" (Macchione, Varese, 172 pag., 15 euro).
Il libro di Marzio Sambruni, pubblicato nella collana Guide Macchione, è una di quelle opere che nascono come strumenti di accompagnamento, funzionali a una consultazione rapida, operativa, e poi invece - paradossalmente - assolvono sì a questa funzione, ma contemporaneamente possono essere letti con interesse e con gusto anche stando sdraiati in una comodissima poltrona. Ma solo aspettando di alzarsi e di entrare di persona in una di quelle foto che propongono scenari pieni di fascino. Le trentasei escursioni suggerite, infatti, rispondono evidentemente a un duplice scopo: quello di aiutare chi già intende percorrere gli itinerari di montagna del Triangolo lariano, fornendo tutte le informazioni utili, e anche quello di stimolare la curiosità e la voglia di camminare di chi neanche sospetta la possibilità di muoversi in un ambiente così ricco di cose da scoprire e non solo sotto il profilo naturalistico o paesaggistico.
La suddivisione degli itinerari in tre gradi di difficoltà - turistico, escursionistico ed escursionistico per esperti - è in grado di rispondere a qualunque grado di preparazione e insieme di stimolare a una crescita di livello che la pratica stessa può favorire con un allenamento progressivamente maggiore. Le mete indicate sono quelle classiche, nomi noti agli appassionati come il San Primo, le sorgenti del Lambro, la conca di Crezzo, il Palanzone, il Boletto e il Bolettone, il Monte Piatto, la Capanna Mara, il Buco del Piombo, i Corni di Canzo, il Moregallo, San Pietro al Monte, il Cornizzolo, e anche le indicazioni di percorso ricalcano comodi e sicuri itinerari, ma non senza suggerire - sia in generale che talvolta nello specifico - la possibilità di varianti che di fatto moltiplica le opzioni a disposizione.
Anche chi ha lunga consuetudine con i sentieri del Triangolo Lariano e ritiene di non avere bisogno di una guida leggerà con piacere quella di Sambruni, perché - come si diceva prima - l’autore è attento alle indicazioni pratiche e agli scorci paesaggistici, ma non trascura per nulla l’occasione di soffermarsi sull’etimologia di un nome, o di indagare le origini di una leggenda, o di approfondire la storia di una formazione geologica. Il territorio attraversato, insomma, è tutt’altro che secondario rispetto alla meta. Così, la salita al Monte Nuvolose è occasione per soffermarsi in una scheda sulla "strada regia", l’antica mulattiera che metteva in comunicazione Como con Bellagio. E non si sale al Palanzone senza una sosta al santuario della Madonna di Campo è, dove si scopre il ripristinato affresco di una Madonna del Latte, che a suo tempo era stato ricoperto da un’altra immagine sacra dopo che il Concilio di Trento aveva proibito la rappresentazione di nudi nelle chiese.
Ancora, tutti conoscono il nome dell’Alpe del Vicerè, non tutti quelli che l’attraversano con gli scarponcini ai piedi sanno che stanno calpestando un terreno che nel 1810 era stato acquistato per costruirvi un ampio fabbricato destinato al soggiorno dei cavalli di un personaggio che aveva la sua residenza estiva sulle rive del lago di Pusiano: Eugenio di Beauharnais, figliastro di Napoleone, il Vicerè d’Italia, appunto. E se si sale all’Alpe Fusi, sul Cornizzolo, e ci si imbatte in un faggio monumentale, serve la guida per scoprire che il venerando albero è noto come Faggio del Segantini, perché il pittore era solito - durante il suo soggiorno in Brianza fra il 1880 e il 1885 - salire fin qui con tela e pennelli per trarre ispirazione.
Gli esempi potrebbero estendersi a ciascuno dei trentasei percorsi, perché per ognuno (non soltanto nei casi più ovvii come per il Buco del Piombo) l’autore trova un particolare, un nome, una presenza capaci di evocare una storia, o magari una leggenda, un tratto comunque caratteristico che rende quel luogo unico e degno di essere scoperto.
Antonio Marino
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