Cultura e Spettacoli
Mercoledì 17 Giugno 2009
Confortola: "Non sono un eroe
Resistere è questione di testa"
A Como la presentazione del libro "Giorni di ghiaccio" dell'alpinista sopravvissuto alla spedizione sul K2 in cui morirono in 11
Non sono un eroe, o un Iron Man, come qualcuno mi definisce». Si presenta così Marco Confortola, sebbene dal 1º agosto 2008 sia l’ultimo alpinista ad essere salito sulla vetta del K2. Molti ricorderanno quell’evento per il tragico epilogo che ha avuto la spedizione, nell’agosto dello scorso anno. Il crollo di un seracco nel "Collo di bottiglia", il grosso canale di roccia e ghiaccio che si deve attraversare per giungere sulla vetta, ha scatenato una serie di eventi che hanno portato alla morte degli undici compagni di Marco.
«Quello che ho visto - racconta Confortola - è tutto scritto nel mio libro», Giorni di ghiaccio (Baldini Castoldi Dalai editore, 2009), che verrà presentato dall’autore il 18 giugno, alle 18, alla libreria Ubik di Como. Marco, un vero "cacciatore di ottomila", porta sempre un diario con sé quando si dedica a queste imprese: «Ho imparato a portare sempre qualcosa su cui scrivere. Nel libro tanti passaggi sono delle vere e proprie copie del diario che ho tenuto durante la salita». Confortola è abituato alle sfide: come quando, ancora bambino, fu mandato a fare il pastore fra le sue montagne, quelle della Valfurva, o ancora quando, nel 1993, diventò Guida Alpina Internazionale, la più giovane d’Europa per 4 anni. L’autore racconta a La Provincia della sua impresa e di quel che è successo in quei giorni, delle morti dei compagni, vicenda questa, che ha dato origine ad uno dei passaggi più forti del libro.
Cos’ha provato quando ha realizzato che i suoi compagni erano morti?
Non ho capito subito quello che era successo, che erano morti tutti, fino a quando sono tornato al campo base; allora Roberto Manni mi ha comunicato la notizia.
Cosa ha fatto sì che lei si salvasse?
Sin da quando ero al bivacco ho sempre pensato ad una sola cosa, che volevo tornare a casa. Se sono vivo è principalmente per tre motivi: primo, perché il K2, la montagna, lo ha voluto, poi perché sono una persona molto determinata: volevo tornare a casa e l’ho fatto; terzo, per la forza fisica che ho dimostrato di avere, rimanendo per cinque giorni senza cibo e acqua. Infine, non va mai dimenticata la fortuna: ma la fortuna aiuta gli audaci.
Cosa si pensa quando si è soli a 8.000 metri e il freddo ti entra dentro fino a fare male, mentre sei costretto a dormire in un buco nella neve?
La solitudine è una caratteristica degli alpinisti, soprattutto degli himalaysti. Il mio pensiero fisso era quello di tornare a casa: non avevo paura di morire ed ero convinto che sarei tornato. Far fronte al dolore fisico è tutta una questione di testa. Lo devi volere.
Le sofferenze che ha provato sono state molte e prolungate. Cosa le ha lasciato quella terribile esperienza nella vita di tutti i giorni?
Ho sempre lottato, sin da piccolo. È una cosa che hai dentro e che non ti insegna nessuno, così come non è solo una questione di forza fisica e allenamento.
Tornato dalla spedizione si è dovuto sottoporre all’amputazione delle dita dei piedi, a causa del congelamento. Questo tragico ha modificato il suo atteggiamento nei confronti della montagna e della vita?
Prima dell’incidente avevo il 43 di scarpe: ora ho il 35 e mezzo. Dopo quell’esperienza posso solo dire che amo di più la vita: l’ho sempre amata, ma da quando sono tornato la apprezzo ancora di più. Rimango comunque quello che ero prima, una persona normale.
Non un eroe, quindi?
Certamente no, anche se tutti siamo diversi l’uno dall’altro. I medici dicono che al di sopra di certe altitudini non si può vivere senza ossigeno, eppure io e almeno altre quaranta persone al mondo lo abbiamo fatto. Quindi, è un discorso individuale, non solo di allenamento; insomma, è il motore che è diverso.
Un motore pronto a ripartire, visto che l’11 giugno, dopo quasi 10 mesi di stop, ha rimesso le scarpette ed è tornato ad arrampicare? Sì, i medici storcevano il naso, ma tante volte volere è potere! Voglio tornare a fare gli 8.000, sono ancora tante le sfide che mi attendono (Confortola ha scalato 6 delle 14 montagne che superano gli ottomila metri di altezza, fra le quali, nel 2007, il Cho Oyu e il Broad Peak, nda). Certo, servono gli sponsor, senza i quali è quasi impossibile dedicarsi ad imprese del genere.
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