Cultura e Spettacoli
Sabato 27 Giugno 2009
Il Lario tra golfi e terrazze
che ispirarono i poeti
In libreria a luglio "Lario d'arte e di poesia" dello studioso comasco Vincenzo Guarracino
Uscirà nel mese di luglio, il libro «Lario d’arte e di poesia. In gita al lago di Como in compagnia di artisti e scrittori», Guida, Napoli, 120 pag., 8 euro, del comasco Vincenzo Guarracino - poeta, saggista e traduttore, grande esperto e studioso di Leopardi, nato a Ceraso (Sa) nel 1948. Ne anticipiamo uno stralcio.
Vincenzo Guarracino
Balconi sul lago e sulla città: c’è, che dalla città si protende verso il lago a mo’ di balcone, la spianata di Piazza Cavour, e un altro che dall’alto si sporge su Como da Brunate. Due vedute spettacolari!
Fantastiche non meno di quella, ottocentesca, tracciata da Emilio De Marchi, che ci mostra una Como notturna e tranquilla, vista dall’alto del Baradello: "La luna batteva sulle case e riposava sul piazzale, dolce, molle, bianca, d’un chiarore di latte, ma sul lago vagava una striscia increspata, d’un colore lucido metallico, presso a poco di zinco. Sebbene non fosse ancora la mezzanotte, tutta la città riposava in gran silenzio. Le ombre, che scendevano dai tetti, le oscurità dense di certi rientri a casa, il gloglottamento delle onde fra i battelli e i gusci accostati alla riva, il profilo nebbioso e lo sfondo perso dei monti, il tremolare fresco delle rubinie lungo il viale". O questa di Davide Bertolotti (1784-1860) dal colle di Lora: "Dall’altezza di que’ poggi un ampio golfo io dominava ove stendesi la lunata cittade al Lario amica e l’elegante borgo di Vico, non ché una parte del lago che di tante adorne ville ha sparse entrambe le rive".
Ecco allora il lago da Piazza Cavour. "Sulla riva / in questo mattino d’estate / guardo il centro del lago, / inseguo bianchi battelli / verso l’indefinito..." (Luigi Besana): un’istantanea di felicità, un’"illuminazione", che disegna il paesaggio di un mattino pieno di luce, con negli occhi i battelli che dall’imbarcadero si avviano verso il centro del lago, recando gioiose comitive di gitanti. La piazza è così, come una grande esplanade protesa verso il primo bacino del lago: un luogo di attesa e ritrovo, una sorta di agorà, dove socializzare o anche solo godere il miracolo della natura circostante. Forse è per questo, per la sua qualità sociale che Carla Porta Musa, "la poetessa di Como", ha auspicato che i suoi concittadini possano lì un giorno dedicarle "un immenso ninfeo / dai giochi d’acqua / perennemente / festosi e palpitanti", in vista al lago e ai monti.
In ogni momento dell’anno, la piazza è un comodo ritrovo, per chiunque.
"Quando ancora è deserta e le panchine / sono coperte di rugiada fine / la piazza sembra accogliere il respiro / stesso del lago che, nell’ampio giro / delle acque, porta l’eco silenziosa / delle leggende lariane, e ogni cosa / ha un suo fascino in questo stare immoto / d’uomini e cose nello spazio vuoto" (Giovanni Lischio).
Pare di vederli, i suoi frequentatori, con lo sguardo volto all’azzurro del cielo e delle acque, il pensiero proteso all’indefinito di un viaggio senza meta, come sembra di leggere nel testo di Vito Trombetta, uno che lago e piazza li conosce bene per esser nato e cresciuto nelle loro atmosfere: "Parlen d’una funtana vegitt / che cu’l bastùn segnes / l’umbrìa del muund / vöia de regurdass che scuund / tütt i velén / ma pö ’l la savarann che dopu / punta Gén ul laagh / cumenza ’l sò slargass?"
Un luogo di attesa e un rifugio, dunque, la piazza. Certe sue atmosfere si addicono magicamente per chi della vita avverte il peso o la stanchezza.
"Piove una pioggia sottile, verginella / e piazza Cavour splende come placido lago / sparsa di occhi brillanti. / Acqua repressa / nella quale, come lune morte, / riverberano le pallide luci tonde dei lampioni. / Nessuna voce arriva. / Ed io cammino / sull’impervio sentiero dei ricordi / ma la traccia sbiadisce a poco a poco / e muore. / Conforto è soltanto / il sussurro amico delle vicine onde / e il lucente faro voltiano / che nel cielo notturno / svetta sicuro e veglia su Como" (Antonio Villani).
Dall’alto, dall’infinito del colle di Brunate, il lago è un occhio di cielo: festoso e ridente nella luce dei mattini, quando le onde si riempiono di tutti i brividi e i sorrisi del mondo; oscuro e misterioso, nelle sere, quando con l’avanzare delle tenebre acquista un aspetto inquietante e insieme seducente. "Dal grigio fondo del lago / già cresce la notte, / in alto il vento trascorre / i lunghi crinali dei colli / sul ciglio del giorno in declino. / Sommuove luci e colori, / fermenti di primavera, / mette voci e silenzi / nei boschi derelitti", dice Natalia Veronesi Prada.
Una mole protettrice e materna, Brunate, ma anche una presenza incombente, ammonitrice, da cui veglia il faro di S. Maurizio e da cui partono strade, sentieri e mulattiere che s’inoltrano tra boschi e radure di una natura fascinosa. Da qui la vista si protende sulla città, sul lago, sulle Alpi. Lontano, all’orizzonte, il Monviso e il magico profilo del Rosa, in una fuga di nevi e montagne. E Milano, la grande pianura lombarda. L’animo prova un’ebbrezza di eterno: "Salgo a Brunate / una sera fredda di gennaio. // Il vento ha spazzato il cielo. // Là sotto vedo ogni luce / da Milano a Varese. // .../ Qui sono solo / nella parte di Dio, / onnipotente, / sullo scenario della vita. // Perché la vita scorre, / qui, / sotto di me?" (Gianfranco Pilloni).
Uno spettacolo che incanta e riempie il cuore. Non diversamente da quello che ammirava il seicentesco Pierfrancesco Minozzi, dal balcone di Civiglio. Le Alpi innevate sullo sfondo, laggiù verso il Gottardo, sfiorate da un sole già invisibile, i bacini del Lario e del Ceresio, vivi per un ultimo brivido di luce e poi a poco a poco immersi nei vapori violetti della sera, ed infine, laggiù in basso la pianura, costellata di villaggi e campanili accoccolati fra dolci colline e depressioni, a perdita d’occhio verso le brume del sud: "un mar di mondo in una occhiata", davvero!
(© Vincenzo Guarracino)
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