Cultura e Spettacoli
Martedì 30 Giugno 2009
Walid Raad a Como:
l'arte contro la guerra
L'acclamato artista libanese è, dal 1° luglio al 22 luglio, il visiting professor del Corso di arti visive promosso dalla Fondazione Ratti. Lo abbiamo incontrato in anteprima: ecco il senso del suo progetto
Parla libanese, quest’anno, il Corso superiore di arti visive organizzato dalla Fondazione Antonio Ratti di Como. Dal 1°, fino al 22 luglio sarà l’artista libanese Walid Raad a guidare, come visiting professor, i ventun artisti selezionati per partecipare alla 15° edizione del seminario internazionale, intitolato, per il 2009, "Siamo capaci di far piovere ma nessuno ce l’ha mai chiesto". Nato 42 anni fa a Chbanieh, nel Libano, Raad ha l’aria informale e cosmopolita da cittadino del mondo. Vive tra Beirut e New York, dove è professore di Arte alla Cooper Union. L’artista è noto per i lavori realizzati per "The Atlas Group", da lui fondato nel ‘99, che ha svolto per tre lustri un progetto di ricerca sulla storia contemporanea libanese, in primis sugli anni della guerra civile, tra il 1975 e il ’90. Il tema della violenza e dei suoi effetti sull’arte è una delle componenti del progetto "Scratching on things I could disavow: a history of art in the Arab World", che Raad proporrà, domani, nella ex chiesa di San Francesco, dalle 20, per la sua prima personale italiana, con visite da lui guidate, su prenotazione allo 031/233111. Il progetto è frutto di una ricerca che coinvolge diversi paesi mediorientali: dal Libano alla Palestina, all’Iraq, fino agli Emirati Arabi.
Professor Raad, lei è visiting professor. Quale impronta intende dare al seminario della Far?
Il mio sarà un approccio aperto e molto dipenderà dall’incontro con gli artisti. Il lavoro sarà diviso in due parti: una presentazione di alcuni temi di ricerca del mio lavoro, per esempio il tema dell’arte in relazione a condizioni di violenza, fisica e psicologica, estrema, ma anche il rapporto tra fotografia, memoria e storia. In una seconda fase, proporrò un’esplorazione uno ad uno e collettiva dei percorsi di ricerca sviluppati dagli artisti partecipanti. Non darò un tema collante. Credo che se realmente coinvolti, i giovani artisti sapranno trovare dei veri stimoli.
Nella personale comasca proporrà i frutti delle sue ricerche, incentrate sul rapporto arte/guerra. Ce ne può parlare?
Fino al 2004, per dieci anni, ho lavorato sui conflitti nel mondo arabo. Negli ultimi cinque anni, poi, la mia ricerca si è evoluta in un’altra direzione che è completamento del percorso precedente. Ora sto analizzando lo sviluppo vorticoso di strutture espositive e museali in determinate aree del Golfo Persico. Prendiamo il caso di Abu Dhabi che ha due padiglioni alla Biennale di Venezia in corso e che sta vedendo crescere importanti musei. Lo stesso sta accadendo anche in altre zone tra Egitto, Palestina, Emirati Arabi. Io sto cercando di capire perché ciò accada ora. Perché, fermo restando che il mondo arabo ha sempre avuto una vita culturale ricca, ora assistiamo a questa proliferazione di un mondo complesso in cui vive l’aspetto dell’arte istituzionale e anche la costruzione di una scena alternativa. Quale dunque lo scopo della sua ricerca?
Oltre alla mappatura del fenomeno stiamo studiando la necessità istituzionale di costruire un database dinamico, che misuri il valore di un’opera sul mercato nel tempo, motivando quindi l’investimento effettuato. Quello che si vuole misurare è anche “l’intangibile”, tutto ciò, comprese le ricadute sociali e mediatiche della cultura, che attribuisce valore all’opera d’arte. È un dato essenziale per gli investitori pubblici, che devono rendere le opere d’arte un investimento produttivo al pari di petrolio, rame, alluminio.
Quale collegamento c’è tra queste fasi della ricerca e il suo primo progetto relativo al rapporto tra arte e guerra?
Questo è il punto nodale. In tempo di guerra, le istituzioni artistiche possono essere colpite non solo dal punto di vista fisico, ma anche in modo più immateriale, altrettanto pericoloso. Anche nel caso le opere vengano preservate nella loro integrità, si registra un fenomeno per cui non sono fruibili agli occhi degli studiosi, degli artisti, del pubblico. Compaiono, in tempo di guerra, strane espressioni artistiche, in cui gli artisti riproducono, quasi inconsciamente, manufatti preesistenti, ancora integri. È come se gli artisti sentissero il bisogno di far “risorgere” l’arte in tempo di guerra, nonostante essa non sia scomparsa. Come scrive Jalal Toufic, in modo “magicamente” analogico al mio sentire, «l’arte diventa come lo specchio in un film di vampiri». Un’arte che, come il vampiro, vivendo in una dimensione temporale diversa dall’essere umano, sembra non riflettersi nello specchio della realtà oggettiva. Solo le persone sensibili si rendono conto di questo fenomeno di sottrazione.
«Siamo capaci di far piovere ma nessuno ce l’ha mai chiesto» - XV edizione del Corso superiore di arti visive. Visiting professor: Walid Raad, 1-22 luglio. Conferenza dell’artista: domani ore 18, alla Fondazione Ratti.
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