Cultura e Spettacoli
Martedì 28 Luglio 2009
Gli aforismi di Ferrario,
un mondo da scoprire
Il musicologo e scrittore ha appena pubblicato, per Nodo Libri, una raccolta poderosa di "frammenti", scelti con spirito pungente. E l'italianista Federico Roncoroni li ha letti per noi in anteprima
Com’è ’sto ponderoso volume di 359 pagine di aforismi e pensieri che Carlo Ferrario fa uscire da Nodo Libri? La chiave di lettura per capirlo, amica mia, è nelle ultime righe dell’ultima pagina. Là, in quella che è l’estrema riflessione, seguita solo dal "Congedo dal paziente lettore", si legge infatti: «Gli aforismi possono essere scartati uno per uno come i cioccolatini o consultati come i tarocchi… Tutti insieme compongono un romanzo senza personaggi e senza trama nel quale è però possibile leggere una storia…».
Di aforismi, pensieri, riflessioni, citazioni e battute, di fatto, il libro è pieno - ce ne sono la bellezza di 3.068 - e insieme, credimi, compongono davvero un testo unitario, scandito in otto capitoli, a formare, vedi tu, un affresco, un mosaico, una sinfonia o, appunto, un "lungo racconto" o anche un’autobiografia intellettuale, morale e artistica dell’autore. Io, che come sai sono un consumatore di aforismi in quantità industriale, ho cominciato a leggerlo come ti ho sempre consigliato di leggere le raccolte di aforismi: un po’ qua e un po’ là, un po’ al giorno, senza altro impegno che quello di lasciarti sedurre, volta per volta, dagli stimoli delle acutezze altrui e di farti ricca della loro esperienza. Poi, hai visto, ci ho preso gusto. Colpito da alcuni passi, sono tornato indietro e ho cominciato a leggere il libro da capo, con crescente curiosità, perché dentro, sminuzzato e nello stesso tempo concentrato in godibilissime sentenze, spiritose osservazioni, non scontate polemiche, ritratti dissacranti, dure condanne, battute urticanti e sensati giudizi, c’è ...
E chi sarebbe Carlo Ferrari?, mi domandi. Ferrario (Ferrario, ti prego, non Ferrari, che qui è il nome di una famiglia di pasticcieri), ti rispondo, è un intellettuale, un intellettuale comasco. Non lo conosci, perché non frequentiamo mai il suo giro, che è un giro ristretto, costituito da poche persone coltissime e, dal tuo punto di vista post-postmoderno, alquanto snob: un gruppo di melomani esigenti, di quelli sai, che seguono i concerti con davanti lo spartito o muovono lievemente nell’aria una mano, come se fossero il direttore dell’orchestra; di quelli che sciamano spesso come pellegrini verso i grandi santuari della musica, la Scala, il Maggio, Salisburgo, Lucerna e Bayreuth e, non spaventarti, verso i luoghi a noi ignoti dove si coltivano le misteriose dissonanze della musica dodecafonica e postdodecafonica o, come diceva il nostro amico Piero Chiara, semplicemente cacofonica. Sì, brava, tutto il contrario di uno come me, che, per restare in tema, tanto più ama la Nona di Beethoven quanto meno la capisce, e forse neanche più le ama se non le ascolta con te che giri per la casa o per il giardino. Sia come sia (de gustibus…), Ferrario ha scritto parecchi testi che si sono sempre segnalati per quel loro collocarsi tra creatività e rigore: tra il piacere di scrivere, che è cosa buona e giusta, e la responsabilità di scrivere cose non banali, non caduche, non inutili, che è cosa rara e degna di considerazione: prose e racconti, molti dedicati a Como, ai suoi personaggi, ai suoi luoghi e alle sue tradizioni, saggi, testi teatrali e soprattutto (tu m’odi? m’ascolti? m’intendi?) cronache e commenti musicali particolarmente importanti e degni di nota, perchè Ferrario, uno che a vederlo neanche lo noteresti se non fosse per il suo cravattino alla texana (o alla tirolese?), non è solo un musicologo esperto ma anche un compositore stimato in Italia e all’estero: ha studiato con Farina e Soresina, ha composto varie opere di musica sacra, si è dedicato alla sperimentazione elaborando opere al computer e ha scritto musiche di scena per diversi spettacoli. Se vuoi saperne di più, vai a leggerti l’’Enciclopedia Garzanti della musica. Quale occasione migliore, dunque, di quella di una raccolta di aforismi, un genere in cui l’autore, per statuto letterario, deve spogliarsi di tutte le finzioni e di tutti gli orpelli stilistici e di tutte le barriere culturali dietro cui per l’ordinario si cela, se vuole esprimere il senso preciso del suo modo di guardare dentro e fuori di sé? Propizia, oltre che l’occasione, era anche la stagione di magra della narrativa e della saggistica in circolazione, che sconsiglia (lo dicevamo proprio l’altro giorno) navigazioni pericolose e inappaganti. Così ieri e poi oggi, mentre sonnecchi all’ombra del fico, per qualche ora mi hai visto in mano questo bel librone. E anche se non me lo domandi, ti dico che la scorribanda tra questi tremila e rotti "pezzi" è stata quanto mai gratificante e positiva. Nei pensieri e nelle riflessioni in cui condensa, senza raffreddarli, tutti i suoi umori, c’è (stavo per dirtelo ma mi hai interrotto e distratto e ora mi sembri più interessata ai voli delle rondini nell’azzurro che alle mie parole), c’è lui, Ferrario, individuo e "persona", intellettuale e artista, musicofilo e musicista, poeta, narratore e polemista. C’è soprattutto nelle invettive e nelle provocazioni, nelle dichiarazioni d’affetto per i valori in cui crede, nell’ironia e talora il sarcasmo, con cui affronta certi temi che non possono non irritare la sua sensibilità, il suo gusto estetico e il suo buon gusto. E c’è tutta anche la cultura di cui è imbevuto come un babà è imbevuto di rhum (non ridere, bimba) ma che si è fatta lieve: filtrata attraverso la riflessione e macerata nell’asciuttezza della forma aforistica (vedi, come mi esprimo bene?), è lì, sullo sfondo o sul fondo, come presupposto imprescindibile della profondità concettuale e del rigore (sì, ancora il rigore: io continuo a crederci), che ne fanno quello che è. Ma chi se ne frega di Carlo Ferrario?, mi dici, animula vagula e blandula che guardi l’aria tremare sotto la vampa del sole e il verde che ormai si è fatto troppo fitto e intenso e già perde vigore nelle sue intime fibre per paura di dover dar presto spazio al rosso, all’ocra e all’amaranto? È vero, amica mia: chi se ne frega del pur grande Carlo Ferrario? Se il risultato di questa lettura, come quello di ogni altro testo che meriti di essere letto, mi avesse solo fatto conoscere un po’ più l’autore - per quanto grande - del libro sarebbe una ben misera soddisfazione per me e per te e per tutti i lettori, e un mezzo fallimento per l’autore. Come se si potesse pensare che uno legge "Umano troppo umano" per conoscere chi era e come viveva Friedrich Nietzsche o i "Canti"per conoscere gli amorucci di Giacomo Leopardi per la cugina Geltrude, per la Teresa Fattorini e la Fanny. Sarebbe poco, amica mia: non varrebbe la fatica di una lettura attenta come quella che amiamo fare, e sarebbe anche un po’ stupido. Il fatto è che, leggendo "L’allegro e il pensieroso", non solo ho conosciuto un po’ di più Carlo Ferrario, che magari domani non ricorderai più neanche chi è (che Como e la cultura ti perdonino, se ancora ci sono), ma ho anche e soprattutto approfondito la conoscenza della cultura comasca (c’è, c’è) e dei suoi intellettuali, e ho imparato cose nuove circa l’arte e la musica, e gli uomini e le donne, e me e te, mia cara, e circa il mondo in cui viviamo e le umane faccende, quelle piccole e meschine e quelle grandi e nobili, e circa tanto adoprar dalle genti, circa i tanti moti di ogni celeste e terrena cosa che, dopo aver girato senza posa, torna sempre là donde s’è mossa. Sì, animula mia né vagula né blandula, condotto per mano da questo Diogene furioso ora "allegro" ora "pensieroso", ho guadagnato, per la via più breve qual è quella dell’aforisma, uno stimolo alla riflessione e, anche, un di più di conoscenza. Divertimento intellettuale a parte.
Carlo Ferrario, «L’allegro e il pensieroso. 3068 aforismi e pensieri», Nodo Libri, 359 pagine, 20 euro.
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