Cultura e Spettacoli
Sabato 01 Agosto 2009
Il racconto d'estate/2
Un luogo da brivido
Si bruciava dal freddo, a Spatz, la località di montagna dove l'ispettore era stato spedito ad indagare su un delitto apparentemente già risolto.
Spatz era un piccolo paese a pochi chilometri dal confine. Una cacca di mosca sulla cartina. Era incassato tra due montagne, il Salter da una parte, 2400 metri, il Danzas dall’altro, 1800. Spatz era a 1700 metri di quota. Nessuno, oltre me, poteva meritarsi quell’incarico di merda. Il paese distava circa trecento chilometri. Calcolai che per arrivarci ci volevano quattro ore buone. Cinque o sei a prendersela comoda, come avrei fatto io. In fin dei conti dovevo andare lassù a fare la marionetta. " Stringi qualche mano, fai finta di indagare ", aveva detto il maiale. Tanto valeva godersela. A casa feci la valigia, ci misi roba pesante. Partii verso le undici, sotto una pioggia fitta. In montagna forse nevicava. Non avevo catene. Fuori città smise di piovere. Cominciò la pianura. Era deserta, pallida. Si preparava al ghiaccio, alla nebbia, ai silenzi. Ai corvi. Bucai una gomma. Mi fermai a mangiare in una trattoria quando avevo percorso duecento chilometri. Il paesaggio era cambiato. La pianura era finita. La strada correva in un fondovalle stretto. Le case dei paesi erano allineate una all’altra. Vidi poche persone. Donne perlopiù. Davano l’impressione di non sapere cosa fare. Guidavo con prudenza, ogni tanto dei cani attraversavano la strada. Il Salter e il Danzas erano davanti ai miei occhi. Sembravano denti. Le due cime erano appena sporche di neve. Spatz era lì in mezzo. La montagna non aveva ancora i colori dell’autunno. Non li avrebbe mai avuti. C’era poca vegetazione. Roccia, grigia e cupa. Avviai il riscaldamento, l’aria s’era rinfrescata, avevo i piedi freddi. Il sole non illuminava più il fondovalle. Accanto alle case c’erano imponenti cataste di legna. Mi fermai. Acquistai un pacchetto di sigarette, bevvi un caffè. Chiesi informazioni su Spatz. Il padrone del bar aveva una pancia enorme. Rispose senza guardarmi in faccia. Sembrava il maiale. Disse che per Spatz ci voleva ancora un’ora di viaggio. Parlava come se scegliesse le parole. La popolazione di lì era bilingue, noi di città non gli eravamo molto simpatici. Ripartii, la strada cominciò a salire. La valle si strinse. Un cartello segnalava che da lì sino al confine non c’erano più distributori di benzina. Il mio serbatoio era pieno per tre quarti. Tredici chilometri a Spatz. Era scritto su un cartello che per un istante il sole illuminò. Un sole pallido e freddo. La macchina saliva a fatica. La strada era una curva dopo l’altra. Non riuscii ad andare oltre la seconda. Giunsi alla piazzetta di Spatz, annottava. Parcheggiai, scesi. L’aria era fredda, bruciava. Il silenzio era compagno del buio. Le sagome delle montagne erano nere sul fondo del cielo. Accesi una sigaretta. Alla fiamma dell’accendino notai le mie scarpe da città. Guardai intorno. C’era una sola pensione aperta, la Pensione del Sole, due finestre del piano terra erano illuminate. C’era una meridiana scrostata sopra il portone d’ingresso. Le tendine in filé. Il nome dipinto in caratteri gotici. Spensi la sigaretta, entrai. Dentro c’era odore di tabacco e liquori d’erbe. C’era odore di legna. Il parquet scricchiolava. C’erano foto in bianco e nero alle pareti: cime innevate, sciatori e scalatori. Mi chiesi quanti di loro fossero ancora in vita. Dietro il banco c’era un uomo calvo, chino su un giornale. Mi avvicinai, chiesi del padrone. Era lui. Gli chiesi se poteva darmi una camera. Sorrise. « Lei è il mio secondo cliente questa settimana », disse. Gli diedi i documenti, li guardò, me li restituì. « Immagino che sia qui per l’omicidio », disse. Non risposi. « Camera numero sette », disse. Presi le chiavi. « Vorrei mettermi in contatto con la guardia cantonale », dissi. « Provvedo io », rispose. « Nel frattempo mi sistemo in camera ». Approvò. Salivo le scale quando sentii la porta d’ingresso sbattere. Il padrone salutò il nuovo entrato. Lo chiamò per nome, Ermini. Gli diedi un’occhiata. Era alto, nero di capelli, magro, pallido. Aveva un’aria distratta, forse preoccupata. Il padrone gli fece un paio di domande. Rispose brevemente. Colsi la sua ultima risposta. « Forse domani ». Parlava a voce bassa. Non mi sembrava che fosse lì in vacanza. Entrai in camera. Avevo freddo. Mi buttai sul letto. Presi il verbale della guardia cantonale. Lo lessi attentamente.
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