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La torcia disegnava segmenti di luce nel buio della cucina. Il suo manovratore era tranquillo. Non riuscivo a vederlo in viso. Mi ero avvicinato alla casa. Ero schiacciato contro il muro. Sbirciavo da una finestra. Lo sconosciuto era un’ombra. Ispezionava un cassetto dopo l’altro. Non buttava niente per terra. Rimetteva a posto le cose che toccava. Era in trappola, non mi sarebbe scappato. Ma prenderlo non mi serviva. Non ero lì a caccia di ladri. Poteva però servirmi da guida. Avevo bisogno di sapere chi fosse. Dovevo lasciargli un segno, pensai: un segno di riconoscimento. Il maiale non avrebbe approvato. Ma era lontano. Convinto che il caso fosse già risolto. Forse non era così. La torcia si spense. Mi concentrai. Mi avvicinai alla porta di casa, schiacciandomi quanto più potevo contro il muro. Nel silenzio totale riuscii a sentire il rumore dei suoi passi sul pavimento in legno della cucina. Canterellava anche, sottovoce. Probabilmente aveva trovato quello che cercava. Sentii la porta aprirsi. Adesso zufolava. Forse pensava di essere invisibile. O invincibile. Lo colpii non appena arrivò all’esterno. Un colpo basso. Fa male. Il colpito si china. Si chinò. Lo colpii di nuovo sul naso. Sentii rumore di ossa. Stramazzò al suole senza un gemito. Cadendo perse una cosa. La raccolsi. Sembrava un quaderno. Me lo misi in tasca. Poi lo frugai. Addosso non aveva niente altro. Non portava armi. Non lo guardai in viso. Il colpo al naso aveva lasciato tracce evidenti. Prima di andarmene verificai quello che la guardia cantonale aveva detto circa il momento in cui era stato scoperto l’omicidio. Il postino dunque aveva consegnato la posta. L’aveva messa nella cassetta, all’imbocco del vialetto. Poi aveva notato la porta di casa aperta. Aveva chiamato per salutare. Nessuno gli aveva risposto. S’era avvicinato alla casa. Di solito gli offrivano da bere. La ragazza e il fratello non ricevevano molta posta. Il postino s’era avvicinato alla casa, aveva sbirciato dentro, aveva visto il cadavere. Aveva dato l’allarme. Guardai nella cassetta della posta. Non c’era niente. Se non aveva niente da consegnare il postino non sarebbe passato. E chi allora aveva ritirato la posta se la ragazza era già morta e il suo supposto assassino in fuga?
Non esiste l’omicidio perfetto. Perché era passato da lì il postino?
Prima di andarmene mi guardai per bene in giro. Guardai il fango, il recinto, il maiale, quello del sogno di Ermini, ormai morto.
L’oggetto che il ladro aveva perduto sembrava un diario. Un diario del cazzo. Erano le quattro del mattino. Lo buttai sul letto. Solo un imbecille poteva rischiare la galera, farsi rompere il naso per rubare un diario del cazzo. Non accesi la luce della camera. Andai nel cesso che non aveva finestre. Seduto sulla tazza sfogliai le pagine del quaderno. Le date coprivano un arco di cinque anni. La scrittura sembrava femminile. Non era un diario quotidiano. Era iniziato l’anno in cui la madre dei due era morta. Le prime annotazioni erano brevi. Sembravano prive di senso.
Alla data 6 luglio di cinque anni prima era scritto: " Due caprioli brucano l’erba ".
Al 15 settembre dello stesso anno : " Un grande masso ha quasi ostruito il ruscello ".
Cazzate. Lessi molte cose simili. Il diario andava avanti così per un pezzo: larici, neve, camosci, sentieri, massi, frane, ruscelli. Pensierini di una mente debole, conclusi. Forse anche la ragazza non era granché come cervello. Forse era lui stesso, il presunto assassino, a scrivere quelle cose.
Perché allora il ladro aveva voluto rubarlo ?
Voltai più di una pagina senza leggere.
Il 15 aprile di due anni prima la struttura del testo cominciava a cambiare. La frase diventava più piena, articolata. In quella data era scritto: " Sono le tre del pomeriggio. Comincio a sentirti. Sei nella malga dell’Uhr. Il sole è alto sopra il Salter. Hai raccolto delle bacche. Ora riposi e ti perdo. Non sento più niente ".
Ebbi un sussulto. Cominciai a covare un sospetto. Proseguii nella lettura. 8 ottobre, due anni prima: " Sei nel bosco dei Gattlauss. E’ un bosco di larici. Un urogallo se ne sta appollaiato su un ramo ".
20 gennaio, un anno prima: " La neve ti arriva sino alla cintola. Ha interamente coperto la catasta di legna che hai fatto questo autunno. La catasta non ha ceduto. Sei soddisfatto. Ti sento bene ".
11 giugno: " Hai appena ucciso una vipera. Una piccola vipera che poteva farti male. Ma io non sono come lei. Né io né lui lo siamo. Nessuno ti vuole male ".
Da quella data in avanti tutte le frasi riportate sul diario battevano lo stesso tasto. C’era qualcuno che non gli voleva male ma lui non era convinto. C’era un terzo quindi. Uomo, si intuiva chiaramente. L’ultimo messaggio aveva la data di un mese prima dell’omicidio.
" Tutto il giorno in montagna con un tempo pessimo. Non hai voluto parlarmi per tutto il tempo che sei rimasto lassù ".
Rilessi quell’ultima frase.
" Non hai voluto parlarmi per tutto il tempo che sei rimasto lassù ".
Pensai al silenzio delle cime. Pensai alle lezioni del maiale. Applicai la sua logica delle deduzioni e la sua analisi dei fatti.
" Se logicamente condotta ogni conclusione non sarà mai incredibile per quanto lo possa sembrare ".
La conclusione era che quei due comunicavano pur essendo distanti. Lui trasmetteva, lei riceveva. Poi scriveva. Poi forse verificavano l’esattezza del messaggio trasmesso. E di mezzo c’era un terzo uomo.
Ecco applicate le lezioni del maiale. Ed ecco la conclusione per quanto incredibile potesse sembrare.
(9a puntata, continua)
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