
Cultura e Spettacoli
Lunedì 17 Agosto 2009
Con Raul in Università
era tutta un'altra Storia
Anticipiamo un estratto del libro "Non camminerai mai solo" (Nodo), in cui amici e colleghi ricordano lo studioso comasco, professore all'Università Statale di Milano, scomparso nel 2006 a 60 anni. Lo firma il medico Franco Gerosa, che con Merzario ha condiviso anche la passione politica. Vi proponiamo, inoltre, due scritti dello storico, che fu collaboratore de "La Provincia"
di Franco Gerosa
In Italia il percorso per la cattedra esige spesso un’identificazione stretta con il titolare. Sei l’allievo del professore, gli porti la borsa, gli fai dei favori, vai a prendere i bambini alla stazione, lo porti al mare o all’ospedale a fare gli esami del sangue, vai incontro alle sue richieste, fai le ricerche che ti vengono segnalate: insomma non sei libero, ma ti assicuri la riconoscenza del professore. Tutto ciò si concretizzerà in un concorso a cattedra che però non ti libererà del tutto dalla schiavitù, perché rimarrai legato da un debito di riconoscenza che onorerai magari a un prossimo concorso favorendo un candidato spinto anche dal tuo antico maestro.
Raul, caso raro se non unico, non aveva professori di riferimento se non quelli per i quali provava stima; non apparteneva a cordate o baronie. Era completamente indipendente e la sua unica credenziale erano il suo lavoro e il suo metodo di ricerca e di insegnamento. Si era affermato come storico scrivendo libri, era associato e si spostava nelle varie sedi universitarie mano a mano che veniva chiamato per una cattedra libera. Non avendo una protezione sicura però, aveva provato la delusione e l’umiliazione di partecipare a un concorso con la garanzia della vittoria datagli dai suoi colleghi e amici storici ma rimanendo poi scottato dal mancato risultato e dalla vittoria di candidati con meno titoli di merito. Era diventato un vero e proprio caso fra gli storici, questo imbarazzante Merzario che veniva preceduto da studiosi che non lo valevano. In tal modo si dimostrava la palese ingiustizia del sistema concorsuale.
(Estratto dal brano del libro pubblicato sull'edizione del 18 agosto de "La Provincia")
--------------
Senza famiglia
(La Provincia, 27 maggio ’99)
di Raul Merzario
Molte volte o spesso si cerca di tenere la vita con i denti: in altre parole, di comprendere ciò che sembra inspiegabile.
E' uno sforzo che, credo, ciascuno di noi compie quotidianamente. Poi, all'improvviso, un avvenimento quale un omicidio, l'incendio di un treno, fa perdere di colpo quella fede laica che con così grande fatica abbiamo investito sugli altri. Al diavolo, allora, viene da dire, non c'è nulla da fare. Di malavoglia, come ultima risorsa, si legge l'analisi del sociologo o l'articolo brillante dello scrittore. L'intelligenza, prima di spegnersi, cerca tutte le vie di salvezza. Va bene, apprendiamo dal sociologo che dobbiamo convivere con un perenne scontro generazionale.
Ma con quante cose ci hanno detto di convivere?
E poi che brutto questo termine, convivere. Si potrebbe dire, parafrasando un vecchio proverbio, il convivere è un po' come il morire. A parte questo, viene da pensare che lo scontro fra generazioni è stata una costante nella vita umana. Noi non ci siamo adombrati con i nostri padri? E loro con i nonni? E così via nella catena di generazioni? C'è qualcosa di nuovo nei contrasti odierni rispetto a quelli passati. Gli uni, gli anziani, non capivano gli atteggiamenti giovanili perchè, in fondo, rifiutavano di accettare quel poco di nuovo che c'era: la musica, i vestiti, i divertimenti e così via. Ma c'era un filo rosso che univa una generazione all'altra ed era quello che non rompeva mai i rapporti che, bene o male, si instauravano fra quei contendenti: era la consapevolezza, più o meno conscia, che tutti venivamo dalla nostra madre terra.
In altre parole, che la cultura contadina, secolare, da cui andavamo pian piano distanziandoci, era dentro di noi indissolubilmente.
Altro che ricerche genealogiche per cercare un capostipite nobile: sperate di rinvenire un contadino nella vostra catena di discendenza perchè quello vi darà la certezza del divenire. Queste si chiamano radici: gli alberi possono crescere alti o bassi, frondosi o spogli, ma hanno in comune una cosa indispensabile alla loro vita: le radici. Ciò che rende oggi incomprensibili fra loro i mondi generazionali è di fatto questo: la perdita del radicamento.
E' un processo che è nato negli anni Sessanta con il boom economico e la corruzione politica e altro ancora che non è qui il luogo su cui dibattere. Alla fine di questo millennio credo che cercando di fare un bilancio dell'ultimo secolo di storia, si ponga necessariamente questa domanda: ha fatto più guasti il comunismo o il consumismo? Gli uomini con la clava che sono usciti dalla cortina di ferro che parentela hanno con i cavernicoli nostrani armati di altrettante clave che usano indifferentemente contro se stessi e gli altri? Un'ultima osservazione: c'era un collante che, come ho detto, bene o male teneva unite le generazioni e questo era rappresentato anche dalla famiglia.
Questa istituzione è per forza di cose correlata al matrimonio.
Ora, bisogna ammettere che uno degli effetti sociali forse indesiderato dello sviluppo economico è stato quello della trasformazione dell'uno, il matrimonio, e di conseguenza dell'altra, la famiglia.
E' stato detto che il matrimonio e la famiglia, almeno nella forma che abbiamo conosciuto, potrebbero presto diventare un ricordo del passato. E allora dobbiamo abituarci a convivere, questa volta il verbo va bene, fra generazioni che non si riconosceranno.
Da padri e figli a padri contro figli? Una prospettiva apocalittica, a dire poco.
-------------
Chi affama
i poveri del mondo?
Noi consumatori
(La Provincia, 18 luglio 2001)
di Raul Merzario
Faccio fatica ad interessarmi di Genova e della riunione del G8, ma non riesco a capirne il motivo.
Proviamo insieme a fare qualche considerazione e a verificare se questo piccolo esercizio ci aiuta a comprendere un poco di più di quanto sta accadendo.
Una piccola premessa: il G8 è il club dei paesi più industrializzati che, a partire dal 1975 (allora erano in 7), si riunisce una volta l'anno in luglio per discutere dei grandi problemi economici mondiali.
La novità di questi ultimi anni è che contemporaneamente si ritrovano varie organizzazioni nate spontaneamente che contestano queste riunioni.
In sostanza non si riconosce il potere ad 8 stati che rappresentano un quinto della popolazione mondiale, ma che producono i trequarti del prodotto lordo mondiale di decidere per tutti e, in particolare, a danno dei paesi sottosviluppati.
Questi ultimi, nel corso degli ultimi decenni, sono stati sostenuti, da parte dei paesi occidentali sviluppati, con i cosiddetti aiuti dei quali circa il 30% era costituito da donazioni o da trasferimenti assimilabili a donazioni, mentre il restante 70%, la parte sostanziale degli aiuti, è fornita sotto forma di prestiti Per farla breve, tra il 1955 e il 1995 il debito a lungo termine dei paesi del Terzo Mondo ad economia di mercato è passato, in dollari correnti, da 9 miliardi a 1290. Un'enormità e da qui lo slogan: cancella il debito. Tutto giusto naturalmente e tutto condivisibile.
Ciò che non mi convince della protesta è, invece, la sua anonimia: in definitiva chi sono questi succhiatori di sangue del G8 che ingurgitano le ricchezze, o meglio dire, le povertà dei P100 o 200? Io penso che siamo noi e con quest'espressione intendo io e voi in carne ed ossa che ogni giorno siamo assillati, come si legge dai giornali, di aumentare del 2 o, speriamo, del 3% il nostro prodotto nazionale lordo.
In altre parole, il gigantesco frigorifero che apriamo quotidianamente e riempiamo dei prodotti più inutili, alla fine della giornata deve essere riempito con un 2% in più di quello che abbiamo consumato o buttato: così, ci spiegano, tutti lavorano, non c'è disoccupazione, molti si fanno imprenditori e non va neppure dimenticato che, anche se non è un valore materiale, alla fine siamo più felici. Una sorta di bulimia economica provocata non da una malattia, ma dal mercato. E siccome tutto si tiene, la nostra bulimia ci porta a svuotare anche il povero (di merci) frigorifero dei paesi sottosviluppati.
Che fare? Anni fa si era proposto un valore etico, l'austerità, come guida dei comportamenti economici, ma non solo di quelli. Figuratevi che l'iniziativa era partita da un comunista, Enrico Berlinguer: vi immaginate le risate e gli insulti (con questo rimaniamo al medioevo; la democrazia è produzione e altre amenità del genere) . Da lì si è ripartiti a spron battuto e siamo arrivati qui dove ci troviamo oggi quando ogni mattina dobbiamo porci il problema di quanto consumare e sempre di incrementare di quel poco per cento in più quel tanto ingurgitato il giorno prima.
Si legge anche che nel Giappone del nord-est italiano i ragazzi che si ritirano dalla scuola prematuramente sono moltissimi. Il ragionamento è semplice: prima vanno a lavorare, e più consumano; anzi, questi giovani sono il consumatore senza residuo perché, vivendo in casa, posbeni perché questa osservazione si potrebbe rivolgere anche ai sentimenti. Il numero dei divorzi e delle separazioni è lì a dimostrare anche questo.
Al contrario, un grande sociologo, Anthony Giddens, sostiene che la fine della famiglia tradizionale è un bene e che il matrimonio, pur essendo ancora molto diffuso, non rappresenta più ciò che per secoli è stato considerato: si chiama ancora nello stesso modo, ma al suo interno si è profondamente modificato.
Secondo Giddens va affermandosi la coppia basata sulla comunicazione emozionale o intimità (che non c'entra per nulla con la sessualità). La discussione e il dialogo sono la base del rapporto. A me sembra, cinicamente, che all'interno delle mura domestiche volino più le pentole che le parole e, come dicevo, il tasso dei divorzi e delle separazioni ne è una prova.
E' difficile mettere la parola fine ad un problema che ci seguirà ancora per anni, ma mi viene in mente che un'ottima conclusione temporanea può essere trovata nelle parole della magistrale arringa di Frank Galvin (Paul Newmann) che, nel bellissimo film di Sidney Lumet Il verdetto, rivolge alla fine alla giuria.
Galvin è un avvocato fallito che l'alcol e le delusioni hanno reso cinico e rassegnato.
Nell'ultima occasione che gli si presenta, che è una causa contro i potenti luminari dell'ospedale cattolico della sua città difesi da un esercito di avvocati che piegano con le interpretazioni e con la forza le leggi a loro vantaggio, ebbene qui trova la forza di battersi.
Mette così in gioco tutto ciò che gli rimane e si rivolge alla giuria con parole che quando le avrete lette, capirete che ben si adattano anche al nostro caso. Dice Galvin: "Beh, noi per lo più nella vita ci sentiamo smarriti, diciamo: ti prego Dio dicci che cosa è giusto, dicci che cosa è vero. E non esiste giustizia: il ricco vince, il povero è impotente.
Ci sentiamo stanchi di sentire le menzogne della gente e con il tempo diventiamo morti, un po' morti, sì, considerando noi stessi come vittime e ci diventiamo vittime. Diventiamo, diventiamo deboli, dubitiamo di noi e di ogni nostro principio, dubitiamo delle nostre istituzioni e dubitiamo della legge, ma (rivolto alla giuria) oggi voi siete la legge, voi siete la legge. Non i libri, non gli avvocati, non una statua di marmo o l'apparato della corte: quelli sono simboli del nostro desiderio di essere giusti, ma essi sono di fatto una preghiera, sono una fervente, una spaventata preghiera.
Nella mia religione si dice: agisci come se avessi fede e la fede ti sarà data. Se, se dobbiamo avere fede nella giustizia, ci basta solo di credere in noi stessi, l'agire con giustizia e credo che ci sia giustizia nei nostri cuori".
*docente universitario sono spendere in beni di nessun valore d'uso tutto il loro stipendio. Ce ne fossero di più di questi, allora sì l'economia potrebbe camminare con le sue gambe senza l'intervento dello stato e delle sue odiose imposizioni. Ebbene, la conclusione è che la famiglia da unità di produzione com'era negli anni Cinquanta, è diventata l'unità di consumo.
Ma non si tratta solamente di Famiglia: da unità di produzione a centro di consumo Anni fa deriso il richiamo etico di Berlinguer La parte sostanziale degli aiuti sono stati solo prestiti Sit in di protesta: ieri nessuno scontro, ma solo sorveglianza a distanza Prosegue l'occupazione dell'edificio di Chiasso PROTESTA UFFICIALE DI RIFONDAZIONE "INQUALIFICABILI ATTI DI VIOLENZA" DA PARTE SVIZZERA Sull'azione della polizia ticinese a Pontechiasso, durante la quale è stato colpito all'addome il consigliere regionale di Rifondazione Comunista Giovanni Martina, il segretario regionale del partito Ezio Locatelli ha inviato ieri una lettera di protesta all'ambasciatore d'Italia Lorenzo Ferrarin e al console d'italia in Svizzera Giovanni Ceruti, con la quale intende "elevare una ferma protesta in relazione agli inqualificabili atti di violenza di cui si è resa responsabile la polizia elvetica".
PRIME PARTENZE. Il variegato mondo della contestazione Da Como, Lecco e Sondrio tanti in marcia su Genova COMO - (l. m.) L'evento più globalizzato dell'estate da questa mattina è anche un affare comasco. Sono infatti partiti alla volta di Genova i primi manifestanti, alcuni simpatizzanti del collettivo giovanile Kep, che hanno deciso di raggiungere il capoluogo ligure per protestare contro il vertice degli Otto Grandi. La stima indicativa, che tiene conto dei 340 posti in treno e in pullman già prenotati e delle molte persone che raggiungeranno Genova con mezzi propri, è di oltre 500 comaschi, appartenenti alle aree della sinistra (Rifondazione Comunista e Sinistra giovanile), del mondo cattolico (Acli e alcuni singoli sacerdoti), dei sindacati (Fiom Cgil), dei centri sociali (Kep), e dell'associazionismo (Rete Lilliput e Unione degli studenti), pronti a partecipare alla manifestazione di protesta della giornata di sabato. Venerdì è previsto l'assalto alla zona rossa e a Genova giungeranno quindi anche voci di protesta comasche.
Per quanto riguarda Lecco, continua la marcia in bicicletta del Kollettivo Malavida: una trentina i partecipanti che ieri sono arrivati ad Alessandria, rigorosamente scortati dalla Polizia e accolti con simpatia dalla popolazione in un parco cittadino messo a disposizione dalla Amministrazione provinciale. "Un clima di grande allegria - dice Luca Esposito, uno degli organizzatori - anche con le forze dell'ordine abbiamo instaurato un bellissimo rapporto, senza alcuna tensione". Malavida cura anche l'assistenza ai gruppi di Germania Attac ed ha organizzato il treno speciale Tirano- Genova via Milano che partirà da Sondrio domani alle 8,50. Arrivo a Lecco e da qui diretto per Milano delle 10.57 su carrozze riservate al costo di 15 mila lire.
Sempre a Lecco, si mobilitano anche i sindacati: due pullman organizzati dalla Fiom Cgil partiranno sabato mattina mentre i delegati della Fim Cisl andranno con mezzi propri. Complessivamente si stima che la carovana lecchese sia composta da circa 1000 manifestanti.
In marcia anche il popolo antiglobalizzazione valtellinese. I primi hanno preso la via di Genova domenica, accodandosi alla biciclettata organizzata dal "Malavida". Il secondo scaglione partirà invece, come abbiamo già anticipato, domani mattina in treno. Sono poi tre i pullman (da Bormio, da Tirano e da Chiavenna) organizzati da Globos, l'osservatorio sulla globalizzazione nato un paio di mesi fa in provincia di Sondrio che riunisce le diverse associazioni che operano sul territorio per la promozione del commercio equo-solidale, l'ambientalismo, le politiche per la pace. C'è ancora qualche posto disponibile. Tra i partecipanti ci sarà anche una delegazione ufficiale di Rifondazione comunista e della Fiom-Cgil di Sondrio.
© RIPRODUZIONE RISERVATA