
Cultura e Spettacoli
Martedì 18 Agosto 2009
Il racconto di Vitali/17
Il giallo del dito mozzato
Nel romanzo di Andrea Vitali per «La Provincia», dal titolo «Il maiale» (disegni di Renato Frascoli), una ragazza viene uccisa a Spatz. Le indagini scagionano il fratello, trovato morto. Unici indizi, una storia di telepatia e l’incubo di un residente: un maiale che soffoca in un secchio, sul luogo del delitto. La bestia... c’era davvero.
Il maiale aveva la faccia gonfia. Non fu facile disincastrarla dal secchio. Cominciò a piovere, acqua mista a neve. Si levò un’aria gelida. Ero sudato. Magari mi sarei ammalato. La porta della casa dei due sbatteva. Aveva un ritmo regolare. Un rumore ovattato. Come se sulla casa ci fosse una campana di vetro. Il Danzas era visibile solo per metà. La cortina di nubi scendeva lentamente. Di lì a poco sarebbe scesa solo neve. Avevo tolto il secchio. Il muso della bestia era tumefatto. Il fango del cortile era duro. Qualche fiocco di neve si posò sul muso di Dolly. Gli occhi del maiale sembravano voler uscire dalle orbite. Da terra uno era fisso su me. Era velato. Dolly aveva anche un collare con inciso il nome. La luce cominciava a diminuire. Nevicava fittamente. L’aia era bianca. Stetti per un po’ col secchio in mano a guardare la nevicata. Il Danzas e il Salter erano scomparsi dietro le nuvole. Non tirava più aria. La porta di casa aveva smesso di sbattere. Il silenzio era assoluto.
Silenzio di merda, pensai. Silenzio, pace e tranquillità di merda: tutte balle che si inventano per invitare i turisti. Tenevo il secchio con la destra. Percepii un vago odore di cibo fermentato. Guardai nel secchio. Lo capovolsi. A terra cadde qualcosa. Mi chinai. Capii subito cosa fosse. Lo afferrai tra due dita. Lo avvolsi in un fazzoletto, lo misi in tasca. Ormai era buio. Un buio denso. Fu allora che immaginai la scena. Immaginai quello che poteva essere accaduto quella notte.
Se avessi fatto prima quel sopralluogo, pensai.
I maiali mangiano di tutto.
Dovevo tornare al cimitero.
Mi avviai.
Il cimitero sembrava ancora più piccolo. La nevicata sopprimeva la profondità delle cose. Non c’era cancello. Usai l’accendino per farmi luce. Nonostante la nevicata, sul vialetto centrale notai delle orme. Qualcuno era passato non da molto. Le tracce andavano e venivano dalla cappella. Spensi l’accendino, restai al buio. Dalla cappella veniva una luce fioca. Mi avvicinai lentamente. Cercai di spiare all’interno, da una finestrella a lato della porta. La luce era quella di una torcia appesa al muro. Dentro non c’era nessuno. La luce della torcia era debola, densa. Nel cerchio di quella luce c’erano i corpi dei due, coperti da un lenzuolo. Faceva un freddo da cani. Entrai. Picchiai i piedi per terra. Sollevai il lenzuolo che ricopriva il corpo dell’uomo. Frugai in tasca per prendere l’accendino. Afferrai la mano dell’uomo. La destra, fredda e rigida. Mancava una parte dell’indice. Era stato reciso. Tutto mi quadrò. Anche quell’ultimo particolare era stato sistemato. La mia indagine era davvero finita.
Neve o no, sarei ripartito per la città quella stessa sera.
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