Cultura e Spettacoli
Giovedì 03 Settembre 2009
Zambrano, pensatrice star
La traduttrice è comasca
Al recente Meeting dell’amicizia di Rimini, il confronto culturale ha riportato alla ribalta la figura della filosofa spagnola Maria Zambrano (1904-1991), che visse quasi l’intera esistenza in esilio volontario, con lunghi soggiorni in Italia. Allieva di Ortega y Gasset e di Xavier Zubiri, inizia ad essere molto studiata anche in Italia, grazie al supporto di celebri intellettuali - come Massimo Cacciari - e alle traduzioni delle sue opere. La sua traduttrice italiana, Manuela Moretti, vive a Como ed è collaboratrice de «La Provincia».
Continua la collana dedicata al carteggio tra María Zambrano, grande filosofa spagnola del Novecento, e importanti intellettuali dell’epoca. Il secondo volume, dal titolo "Mia cara amica María" (Moretti & Vitali, €14) racchiude le lettere che José Bergamín - poeta, scrittore e drammaturgo spagnolo -, rivolse all’amica. Il lavoro di traduzione a questo volume mi ha permesso di conoscere e approfondire un legame e un’amicizia che permettono di scoprire la relazione che unisce questi due grandi intellettuali spagnoli. La loro amicizia risale agli anni Trenta, quando Bergamín fonda la prestigiosa rivista "Cruz y Raya", una delle pubblicazioni più aperte e indipendipendenti dell’epoca, che annovera tra i suoi collaboratori, oltre a María Zambrano, diversi intellettuali della generazione del ’27. In quegli anni, entrambi condividono la fiduciosa esperienza della II Repubblica, così come più tardi condivideranno la dolorosa esperienza dell’esilio. Quando Franco vince, a causa della «terribile dispersione dell’esilio», alla quale si allude in una delle lettere riportate nel volume, i due si perdono di vista. Bergamín, nei perimi anni del suo lungo esilio, soggiorna in Messico, Venezuela, e Uruguay, fino a qunado avverte, come leggiamo nell’introduzione del volume, il desiderio di «fuggire dall’America»: «più che tornare in Europa», scrive Bergamin nell’ottobre del ’54, «avverto la necesità di fuggire dall’America. La sua aria mi soffoca. Sono quindici anni che vivo, o meglio, muoio, in questa insopportabile agonia». Alla fine di quello stesso anno si trasferisce a Parigi, dove alloggia da solo in una stanza della Casa de México, nella Città Universitaria e dove vive, in modeste condizioni, sopravvivendo economicamente grazie alle collaborazioni con il quotidiano "El Nacional" di Caracas. È in queste circostanze che avviene il ritrovo con María Zambrano, di cui le lettere del libro costituiscono una viva testimonianza. La vicinanza con la Spagna acuisce il suo desiderio di far ritorno in patria, come afferma lui stesso in una delle sue lettere: «sento di voler tornare, affinché le mie ossa trovino riparo nella dura terra spagnola…». Nonostante le numerose difficoltà, nella convinzione, come afferma lui stesso, che «è meglio essere sepolti vivi che esiliati morti», Bergamín riesce a tornare in Spagna nel 1958, dove condivide la grande emozione del ritorno con María Zambrano: come si può vedere dalle lettere riportate nel libro, la filosofa è tra i pochissimi veri amici con cui lo scrittore vuole condividere quest’esperienza. Nelle sue lettere madrilene, lo scrittore esprime, innanzitutto, le sue impressioni sulla Spagna che scopre dopo un’assenza di quasi vent’anni, una terra che vede con la chiarezza euforica di un vero risuscitato e, nonostante le difficoltà e le ipocrisie che Bergamín trova nel «piccolo mondo intellettuale e politico di opposizione opportunista», incita la sua amica a raggiungerlo a Madrid, con parole piene di autentica amicizia: «Vieni, in ogni modo, senza illusioni: ma vieni. Se me lo chiedi, ti dirò che per te il venire è un dovere, un profondo dovere spirituale» (gennaio 1963). Quando, nell’ottobre dello stesso anno, le minacce del regime si fanno sempre più concrete, le consiglia di rimandare il ritorno, mentre lui subisce un secondo esilio. Risalgono a questo periodo molte delle poesie di Bergamín riportate nel volume, che attestano le sue grandi qualità di poeta e che esprimono, dentro e al di fuori della Spagna, la realtà della sua patria. In qualità di traduttrice, ho cercato di mantenere il senso della poesia stessa e di rimanere fedele alla sua parola di poeta, che è il luogo dove si manifesta la sua verità, quella che non gli permette di tacere dinnanzi alla realtà. È un peccato non avere a disposizione le lettere che María Zambrano scrive a José Bergamín, specialmente se consideriamo i commenti che lo scrittore rivolge all’amica: «Quella tua lettera vale un libro», afferma con autentico entusiasmo in una delle lettere riportate nel volume (25 ottobre 1957). L’affinità e la sincerità della relazione che s’instaura tra i due e che traspare nelle lettere riportate nel volume, consente tuttavia di svelare aspetti significativi e inediti della grande filosofa spagnola.
© RIPRODUZIONE RISERVATA